Le notizie sulla Fede Tradizionale Longobarda sono giunte fino a noi rimaneggiate dagli storici dell'antichità e dagli ecclesiastici medievali oppure sono nascoste nei manufatti e nelle usanze che tornano visibili col riaffiorare dei reperti archeologici.
Come ben sappiamo l'unico mito delle origini messo per iscritto dai Longobardi, con la chiara volontà di celebrare negli Antenati la gloria del loro popolo, è il racconto che apre l'Origo Gentis Langobardorum e che narra del dono del nome di "Langbärten" che Godan (nome longobardo di Wotan/Odin) e sua moglie Frea (la Frigg scandinava) fecero alla tribù dei Winniler.
Non è questa la sede per ricordare ulteriormente un episodio ormai ben noto, preferiamo quindi concentrarci su particolari poco conosciuti, ma capaci di offrire interessanti punti di riflessione.
È noto come il primo storico della classicità a trattare la Fede dei Longobardi fu Publio Cornelio Tacito che, intorno al 98 EC, nel suo "De origine et situ Germanorum", li elencò tra gli adoratori di Nerthus, la Madre-Terra (a tal proposito rimandiamo al nostro articolo "I Langbärten sull'Elba"; Tacito però ha dedicato anche uno dei primi capitoli del suo libro ad una descrizione generale delle divinità germaniche, leggiamo infatti:
"Sopra tutti gli dèi onorano Mercurio, cui ritengono lecito, in certi giorni, fare anche sacrifici umani. Placano Ercole e Marte con sacrifici d’animali consentiti." [Germania, IX]
Tacito usò nomi noti ai romani per identificare le divinità germaniche, abbiamo quindi "Wotan/Godan" che diventa "Mercurio" , "Donar" assume le sembianze di "Ercole" (che Tacito già nominò nel Capitolo III: "Si ricorda che anche Ercole ebbe a stare con loro e, al momento di andare in battaglia, lo celebrano come il più valoroso fra tutti gli eroi") e "Tiwaz/Týr" quelle di "Marte".
Ora che abbiamo inquadrato come il culto dei Longobardi andasse ben oltre quello della coppia divina Godan e Frea (a cui erano comunque consacrati come popolo) possiamo concentrarci sull'oggetto di questo articolo, cioè se sia possibile che i Longobardi avessero un culto dedicato al dio Donar.
Se si esclude il generico passo di Tacito nulla ci è pervenuto dalle fonti antiche e medievali e non sappiamo nemmeno quale potesse essere il nome con cui i Langbärten chiamassero il dio: "Donar/Þonar" (sappiamo che questo nome venne usato da Paolo di Warnefrit, autore della "Historia Langobardorum", nel suo periodo di permanenza alla corte franca, in uno scritto di risposta al re Carlo, tramite Pietro da Pisa o "Petrus Grammaticus", in merito all'ipotesi di una missione di conversione del re danese Sigfrid: "Nec illi auxilio Thonar et Waten erunt" cioè "Nè alcun aiuto gli verrà da Donar e Wotan/Godan") o forse un nome più vicino a quello usato dai Sassoni (con cui, ricordiamo, i Longobardi avevano numerose affinità) cioè "Thunaer" o "Thunor/Þunor".
Un indizio di un culto di Donar potrebbe venirci dai "Dialoghi" di Gregorio Magno, dove è riportato (con chiaro intento di incutere nel lettore il terrore verso i Longobardi, forse anche ricorrendo a tòpoi in voga tra gli ecclesiastici, quindi non certo una fonte totalmente attendibile) un evento che dovrebbe aver avuto luogo intorno al 580, quindi nei primissimi anni del Regno Longobardo:
"Molti prigionieri sono uccisi per non aver voluto adorare una testa di capra
Ancora in quel tempo, avendo i Longobardi catturato all'incirca quattrocento prigionieri, secondo la loro usanza immolarono una testa di capra al diavolo, dedicandogliela mentre correvano all'intorno e intonavano canti sacrileghi [carmine nefando]. Prima fecero essi stessi atto di adorazione piegando il collo, e poi sollecitarono anche i prigionieri a fare lo stesso. Ma quasi tutti costoro, preferendo arrivare con la morte la vita immortale piuttosto che adorando conservare la vita mortale, non vollero ubbidire ai comandi sacrileghi e rifiutarono di piegare di fronte a una creatura il capo che avevano sempre piegato davanti al creatore. Allora i nemici che li avevano catturati, accesi da violenta collera, uccisero con la spada tutti coloro che non vollero diventare partecipi del loro errore." [Dialogorum, III, 28]
In merito a questo episodio, che può essere letto come un rituale di caccia, non possiamo non citare quanto scritto dal prof. Stefano Gasparri nel suo "La cultura tradizionale dei longobardi. Struttura tribale e resistenze pagane" (1983): "[...] si articolava in una cerimonia più complessa, basata sull'immolazione di un caput caprae a quello che Gregorio definisce un demone (diabolus): in realtà quasi certamente a Thor-Donar, divinità che ebbe quest'animale per sacro". Il Gasparri cita poi l'ipotesi avanzata da Wilhelm Grönbeck che vede questo rito longobardo da mettersi in stretto rapporto con il mito di Thor contenuto nella Gylfaginning (in cui il dio rianima i suoi capri, uccisi per sfamare sé ed i suoi compagni, consacrandone con il suo martello le ossa raccolte nelle pelli degli animali), precisando ovviamente come tale pratica longobarda facesse parte di un'antica ritualità germanica che solo secoli dopo trovò posto nel sopracitato carme, messo per iscritto nel XIII secolo dall'islandese Snorri Sturluson nella sua "Edda in prosa". Per meglio capire la connessione di questo mito con i Longobardi vi rimandiamo alla 2^ parte del nostro articolo "Adalgis e l'Epica longobarda" dove trattiamo approfonditamente la questione.
Visto che quanto riportato qui sopra potrebbe sembrare troppo aleatorio per offrire solide basi all'ipotesi di un culto di Donar presso i Longobardi, proseguiamo il nostro viaggio questa volta andando alla ricerca di tracce materiali.
Non siamo a conoscenza di ritrovamenti longobardi relativi a Donarkeule ("mazza di Donar", note anche come "mazza di Ercole", pendenti in corno/osso/legno che componevano alcuni corredi femminili germanici del periodo delle migrazioni) e purtroppo per noi l'uso dei noti amuleti raffiguranti il noto "martello di Thor" si diffuse in area scandinava quando già il Regno Longobardo era caduto (ricordiamo che comunque già da tempo alcuni nostri re avevano imposto il cristianesimo come unica religione del Regno), ma questo non significa che non si possano riscontrare altre tracce di tale simbolo presso i Longobardi!
Foto dell'ambone di Novara e sua ricostruzione grafia ad opera di Caterina Giostra. |
A tal proposito viene in nostro aiuto un frammento scultoreo di ambone, ritrovato a Novara e databile tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII secolo, dove troviamo rappresentato un uomo barbuto, con i capelli sono acconciati secondo l'uso longobardo, fornito di martello, cintura e guanti. Che una figura paragonabile al Donar germanico fosse rappresentata in una chiesa non deve stupire, visto che in un periodo in cui le Fedi tradizionali non erano ancora state del tutto abbandonate il sovrapporre figure di Santi ad un'iconografia "pagana" avrebbe permesso una facile traslazione inconscia del popolo verso la nuova religione monoteistica.
Per meglio spiegare questa figura riportiamo le parole della prof.ssa Caterina Giostra tratte dal suo scritto "Luoghi e segni della morte in età longobarda: tradizione e transizione nelle pratiche dell'aristocrazia" (2007):
"Un uomo barbato e con folta capigliatura reca nella mano destra un oggetto composto da un elemento infilato su un’asta, che ritengo la puntuale raffigurazione di un martello; nonostante l’abito sia tracciato in maniera assai succinta, vi è la chiara volontà di riprodurre una cintura [credo si tratti dell’eccezionale riproduzione di una cintura multipla, con un puntale principale pendente al centro e una sequenza di placchette a U capovolte e di relativi puntali secondari, anch’essi a U ma più allungati, alla terminazione delle frange. ndA]; infine, non si può escludere la presenza dei guanti, data l’incisione di due tratti trasversali lungo gli avambracci che ne costituirebbero i limiti. Si tratta delle tre prerogative del dio Thor: il martello Miollnir, i guanti per afferrare il martello e la cintura della forza. Naturalmente, non penso alla divinità pagana raffigurata su un ambone, ma a una figura connessa con la fede cristiana, tuttavia caratterizzata da elementi chiaramente mutuati dall’immaginario pagano – forse con una mutata o più generica accezione semantica –, che doveva essere ancora vivo non solo nel committente e nell’esecutore dell’opera, ma anche nei fruitori che avrebbero dovuto ‘leggere’ l’immagine".
Abbiamo analizzato le testimonianze di Tacito, in merito al culto di Ercole/Donar, e di Gregorio Magno, su un rituale in cui aveva un ruolo chiave l'animale sacro al dio (ricordando come tale pratica si ritrova sia nella tarda epica longobarda sia nei carmi medievali scandinavi), e siamo arrivati ad una rappresentazione scultorea con le caratteristiche della divinità; tutto questo ci fa ritenere plausibile l'esistenza di una ritualità legata a Donar in seno al popolo Longobardo non solo nel periodo della migrazione, ma anche ai tempi del Regno, quando il cristianesimo niceno tentava di scalzare la Fede Tradizionale imponendosi sui Longobardi.
Per meglio conoscere il simbolismo del Martello di Thor consigliamo l'interessante articolo della Comunità Odinista http://www.comunitaodinista.org/Contenuti/Articoli/Il%20Simbolo%20del%20Martello%20di%20Thor_(AdT19).htm |