Adalgis o Adelchis (nome composto da "aþala" [nobile] e "gisa-z" [germoglio]), che in questa sede nelle citazioni riporteremo con la grafia scelta dall'autore del testo riportato, fu il figlio del re Desiderio, in carica dal 757 al 774, e della regina Ansa (da "ansu"/"ansi" [soffio vitale]), entrambi bresciani.
Ritratto di Adalgis, o Adelchis, Re dei Longobardi (realizzato da Mielle e inciso da Thurneysen per il volume di Emanuele Tesauro "Del Regno d'Italia sotto i Barbari", 1664) |
Andrea da Bergamo, ecclesiastico e storico del IX secolo, nel suo Chronicon, redatto con lo scopo di continuare, seppur con molte sviste che in questa sede ometteremo, la narrazione interrotta da Paolo di Warnefrid ne la "Historia Langobardorum", scrive:
"Desiderio [...] dopo aver regnato tre anni, con il consenso dei longobardi si associò al trono il figlio Adelchis" [Chronicon, III]
Adalgis potrebbe aver ricoperto il ruolo di Duca di Brescia/Brixia prima di essere associato al trono dal padre nell'agosto del 759. Pare inoltre che vi fosse un accordo per il suo matrimonio con la principessa franca Gisella, sorella dello stesso Carlo, evento che saltò a causa dell'inizio delle ostilità tra i due regni.
La storia di Adalgis, nota a molti per la celebre opera manzoniana "Adelchi", affascina da sempre per il ruolo eroico e tragico ricoperto negli ultimi giorni del Regno Longobardo.
Disegno raffigurante il frammento di ciborio, conservato al Museo delle Grotte di Catulllo a Sirmione, in cui compaiono i nomi dei re Desiderio e Adelgis. |
Prima di passare al mito creatosi dietro al nobile eroe, ripercorriamo brevemente i tragici momenti seguiti allo sfondamento delle chiuse compiuto dal soverchiante esercito franco; a tal proposito citiamo il franco Eginhard/Eginardo, biografo di re Carlo, che scrive:
"Carlo intraprese, su richiesta e preghiera di Adriano, vescovo della città di Roma, la guerra contro i Longobardi. [...] Carlo, per di più, iniziata la guerra, non si fermò prima d'aver ottenuto la resa definitiva di Desiderio, già prostrato da lungo assedio, e non prima d'aver costretto il figlio di lui, Adalgis, in cui erano riposte le speranze di tutti, ad abbandonare non solo il regno, ma l'Italia stessa." [Vita Karoli Magni, 6]
Anche Andrea da Bergamo (segnaliamo come il cronista riferisca di avere appreso le notizie relative agli ultimi dei re longobardi dal racconto di alcuni anziani e da diverse lettere) nel "Chronicon" ci racconta dell'invasione franca:
"Carlo, allora forte dell'appoggio dei suoi, dimenticò i numerosi benefici di cui l'aveva ricolmato il re Desiderio. Raccolto un nutrito esercito di Franchi, conformemente al desiderio del papa furono stracciati i giuramenti già pronunziati. Scese in Italia contro i Longobardi [...] occupò l'Italia nel diciottesimo anno del regno di Desiderio e quindicesimo di Adelchis, dodicesima indizione, essendo già trascorsi duecentocinque anni da quando i Longobardi erano entrati in Italia. Nello stesso periodo Desiderio morì; suo figlio Adelchis salito su una nave, attraversò il mare." [Chronicon, V].
Se vi stupisce leggere della morte di Re Desiderio dobbiamo ricordarvi come, molte volte, eventi storici così lontani nel tempo non abbiano una verità certa, ma siano raccontati da più cronisti spesso in contraddizione tra loro (ed il detto "la storia la scrivono i vincitori" non è necessariamente un risibile luogo comune).
Mentre le voci da parte franca erano tese ad elogiare la magnanimità del re Carlo verso i regnanti sconfitti (Eginardo, ad esempio, parla di "Deportazione di Desiderio in esilio perpetuo" [Vita Karoli Magni, 6], invece negli "Annales Sangallensis Maiores", sul confino in un monastero della coppia regia, si legge "Fu conquistata la città di Pavia, e re Desiderio e sua moglie Ansa vennero inviati a Chorbeiam/Corbi, e là Desiderio rimase nelle sue veglie, preghiere, e digiuni, compiendo molte opere buone, fino al giorno della sua morte"), non così piacevoli erano le storie riportate dai cronisti della penisola: “Mentre perdurava allora la gloria di questa famosa stirpe, improvvisamente la stirpe dei Galli invase la sovranità e il vertice del regno. In quel tempo teneva lo scettro dei Longobardi Desiderio, il cui genero era allora Carlo, re dei Franchi, il quale, invidiando il suo trono e mirando [ad esso], non rifuggì dall'agire in modo subdolo e con astuzia contro di lui. Catturatolo e gettatolo in carcere, sottomise al suo comando il regno d’Italia e la stirpe dei Longobardi.” [Leggi di Adelchi principe di Benevento, prologo dell'866] ed anche “Raccontano poi alcuni che il re Carlo cavò gli occhi a Desiderio nella città di Ticino, quando lo ebbe catturato.” [Chronicon Novalicense, II - 12].
Desiderata (Ermengardea), ripudiata da Carlomagno, ritorna alla reggia di suo padre Desiderio (illustrazione di Lodovico Pogliaghi per il volume di Francesco Bertolini "Medio evo", 1892).
A fianco del trono Adalgis giura vendetta su Carlo.
Quella che il Manzoni nella sua tragedia ha rinominato "Ermengarda", per Andrea da Bergamo, ecclesiastico e storico del IX secolo, ha nome Berterada [da "bertha" (splendente) e "rēða-z" (consigliere)]:
"Una figlia, che si chiamava Berterada, la dette in sposa a Carlo, figlio di Pipino, re dei Franchi." [Andrea da Bergamo , Chronicon, III] |
Del resto Carlo, che molti oggi chiamano "padre dell'Europa", era uno spietato approfittatore, che in vita non rispecchiava certo i valori d'amore cristiano di cui si proclamava difensore; oltre all'aggressione ad un regno alleato, il nostro, a mero esempio ricordiamo come: fece suoi i terreni del defunto fratello Carlomanno (costringendo, nell'inverno del 771, la moglie Gerberga ed i suoi due figli a rifugiarsi alla corte di Desiderio, che alcune fonti attestano come il di lei padre), nello stesso periodo ripudiò una moglie (in un documento prossimo al periodo in cui visse, quella che il Manzoni chiama Ermengarda, ha nome Berterada: "Una figlia, che si chiamava Berterada [da "bertha" (splendente) e "reða-z" (consigliere), nd.Winniler], la dette in sposa a Carlo, figlio di Pipino, re dei Franchi." [Andrea da Bergamo , Chronicon, III], altri invece la chiamano Desiderata) e, nell'ottobre del 782, a Verden fece giustiziare 4.500 prigionieri Sassoni.
Due tavole dal fumetto francese "Charlemagne" (sceneggiatura di Clotilde Bruneau e Vincent Delmas per i disegni di Gwendal Lemercier).
Qui qualche tavola d'anteprima: https://www.glenat.com/ils-ont.../charlemagne-9782723495561
In questo fumetto si appoggia la teoria che vede nella vedova di Carlomanno, Gerberga, una delle figlie di re Desiderio. |
Tornando all'argomento di questo articolo, non sappiamo con certezza quale parte dell'esercito longobardo guidò Adalgis contro i Franchi (la cui armata fu divisa in due per attaccare a tenaglia il nostro regno: Carlo scese dal Moncenisio in Val di Susa, mentre suo zio Bernardo, passato il Gran San Bernardo, percorse la Val d'Aosta) né quale fu il suo ruolo nelle battaglie che seguirono (la più famosa, tramandata nelle chansons de geste, risulta quella del 12 ottobre 773 presso l'area boschiva denominata Pulchra Silva, che la leggenda vuole, dato l'elevato numero di caduti da entrambe le parti, poi rinominata Mortara, da "Mortis Ara" cioè l'Altare della Morte); ciò che ci è noto è che alfine i due re decisero, come resistenza ultima, di difendere i principali centri di potere del Regno, che erano anche quelli meglio fortificati: Desiderio si attestò a Ticinum/Pavia mentre Adalgis organizzò la resistenza di Verona, città che fu capitale del grande re Albwin/Alboino ed, in precedenza, del goto Teodorico.
Per renderci conto dell'imparità di forze in campo, che col trascorrere dei secoli accrebbero il mito di Adalgis, riportiamo quanto scritto, esagerando un poco i numeri come da sempre avviene nelle cronache, nel 1333 nel "Cronica Imaginis Mundi" dal frate Jacopo d'Acqui: “Dove re Desiderio aveva un soldato, Carlo aveva un barone; e dove era un certo numero di fanti Longobardi, era ugual numero di cavalieri Galli”.
Adelchi (Gabriele Lavia) e Desiderio (Tino Carraro) radunano gli uomini per organizzare l'ultima difesa dopo l'aggiramento delle chiuse da parte dell'armata dei Franchi.
Scena tratta dalla produzione Rai della tragedia manzoniana "Adelchi" (1974, regia di Orazio Costa Giovangigli):
https://www.youtube.com/watch?v=MEnAKmCalwo...
ATTO TERZO - SCENA IX
ADELCHI.
Padre, ti trovo!
(s’abbracciano)
DESIDERIO.
S’io t’avessi ascoltato!
ADELCHI.
Oh! che rammenti?
Padre, tu vivi; un alto scopo ancora
È serbato a’ miei dì; spender li posso
In tua difesa. - O mio signor, la lena
Come ti regge?
DESIDERIO.
Oh! per la prima volta
Sento degli anni e degli stenti il peso.
Di gravi io ne portai; ma allor non era
Per fuggire un nemico.
ADELCHI.
(ai LONGOBARDI)
Ecco, o guerrieri,
Il vostro re.
UN LONGOBARDO.
Noi morirem per lui!
MOLTI LONGOBARDI.
Tutti morrem!
ADELCHI.
Quand’è così, salvargli
Forse potrem più che la vita. - E a questa
Causa, or sì dubbia ma ognor sacra, afflitta
Ma non perduta, voi legate ancora
La vostra fede?
UN LONGOBARDO.
A’ tuoi guerrieri, Adelchi,
Risparmia i giuri: ai longobardi labbri
Disdicon oggi, o re: somiglian troppo
Allo spergiuro. Opre ci chiedi: il solo
Segno de’ fidi è questo omai.
ADELCHI.
V’ha dunque
De’ Longobardi ancora! - Ebben; corriamo
Sopra Pavia; fuggiam, salviam per ora
La nostra vita, ma per farla in tempo
Cara costar; donarla al tradimento
Non è valor. Quanti potrem dispersi
Raccoglierem per via; misti con noi
Ritorneran soldati. Entro Pavia,
A riposo, a difesa, o padre, intanto
Restar potrai: cinta di mura intatte,
Ricca d’arme è Pavia: due volte Astolfo
Vi si chiuse fuggiasco, e re ne uscìo.
Io mi getto in Verona. O re, trascegli
L’uom che restar deva al tuo fianco.
DESIDERIO.
Il duca
D’Ivrea.
ADELCHI.
(a GUNTIGI che s’avanza)
Guntigi, io ti confido il padre.
Il duca di Verona ov’è?
GISELBERTO.
(si avanza)
Tra i fidi.
ADELCHI.
Meco verrai: nosco trarrem Gerberga.
Triste colui che nella sua sventura
Gli sventurati obblia! Baudo, il tuo posto
Lo sai: chiuditi in Brescia; ivi difendi
Il tuo ducato, ed Ermengarda. - E voi,
Alachi, Ansuldo, Ibba, Cunberto, Ansprando,
(li sceglie tra la folla)
Tornate al campo: oggi pur troppo ai Franchi
Ponno senza sospetto i Longobardi
Mischiarsi: esaminate; i duchi, i conti
Esplorate, e i guerrier: dai traditori
Discernete i sorpresi; e a quei che mesti
Vergognosi vedrete da codesto
Orrido sogno di viltà destarsi,
Dite ch’è tempo ancor, che i re son vivi,
Che si combatte, che una via rimane
Di morir senza infamia; e li guidate
Alle città munite. Ei diverranno
Invitti: il brando del guerrier pentito
È ritemprato a morte. Il tempo, i falli
Dell’inimico, il vostro cor, consigli
Inaspettati vi daranno. Il tempo
Porterà la salute; il regno è sperso
In questo dì, ma non distrutto!
(partono gli indicati da ADELCHI.)
DESIDERIO.
O figlio!
Tu m’hai renduto il mio vigor: partiamo.
ADELCHI.
Padre, io t’affido a questi prodi; or ora
Anch’io teco sarò.
DESIDERIO.
Che attendi?
ADELCHI.
Anfrido.
Ei dal mio fianco si disgiunse, e volle
Seguirmi da lontan; più presso al rischio
Star, per guardarmi: io non potei dal duro
Voler, da tanta fedeltà distorlo.
Seco indugiarmi, di tua vita in forse,
Io non potea: ma tu sei salvo, e quinci
Non partirò, fin ch’ei non giunga.
DESIDERIO.
E teco
Aspetterò.
ADELCHI.
Padre....
(a un soldato che sopraggiunge)
Vedesti Anfrido?
IL SOLDATO.
Re, che mi chiedi?
ADELCHI.
O ciel! favella.
IL SOLDATO.
Il vidi
Morto cader.
ADELCHI.
Giorno d’infamia e d’ira,
Tu se’ compiuto! O mio fratel, tu sei
Morto per me! tu combattesti!.... ed io....
Crudel! perché volesti ad un periglio
Solo andar senza me? Non eran questi
I nostri patti. Oh Dio!... Dio, che mi serbi
In vita ancor, che un gran dover mi lasci,
Dammi la forza per compirlo. - Andiamo. |
Carlo cinse d'assedio Pavia, ma si diresse subito con l'esercito a Verona, ben sapendo che lì avrebbe dovuto stroncare il giovane Adalgis, impedendo che in futuro potesse tornare a guidare i suoi Longobardi. La città di Verona si arrese, Carlo catturò la cognata con i figli (che sparirono dalla storia senza poter avvallare pretese al trono dei regno dei Franchi), ma non riuscì a fermare il re Adalgis che cercò riparo presso la corte bizantina, alcuni ritengono facendo tappa dal porto fortificato di Durazzo, già in territorio imperiale.
Ed è a questo punto che inizia il mito di Adalgis, egli diverrà la nemesi di Carlo: un nemico guidato da sacra vendetta e pronto a rimpossessarsi di ciò che era suo per diritto di nascita (il titolo di "Re dei Longobardi", con cui Carlo si fece incoronare nel giugno del 774 dopo la caduta di Pavia), un pericoloso avversario sul cui cadavere il re dei Franchi non poté mai celebrare il proprio trionfo.
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Gli arimanni longobardi continuavano ad alimentare il sogno di ritornare a servire il loro legittimo re, cosa che non solo, come ricordato in precedenza, notò il franco Eginhard, ma che fu anche riportata da Paolo di Warnefrid nei versi 10 e 11 del suo "Epitaphium Ansae Reginae", scritto quando apprese della morte della regina in un periodo precedente all'anno 786, quando asserì "Adelgis grande e potente nel corpo e nello spirito, che, con l'aiuto di Cristo, rimase per i Bardi la più grande speranza".
Per ben 14 anni l'impero franco venne allertato di un imminente attacco da parte di Adalgis, che nel frattempo era stato investito del titolo di "patrizio" (nel IX secolo il Poeta Sassone, negli "Annales de gestis Caroli magni imperatoris", scrisse "Costantino gli fece dono dell'alta dignità patrizia ed egli conservò questa onorificenza sino alla fine della sua vita").
Il Codex Carolinus (la raccolta delle epistole papali a re Carlo) riporta 3 lettere, inviate rispettivamente negli anni 775, 780 e 787, che avvisano il re franco di un imminente attacco: la rivolta del 775 non ricevette gli aiuti sperati a causa della morte dell'imperatore Costantino V, fatto che bloccò l'arrivo di Adalgis al comando di truppe bizantine, così i presunti congiurati desistettero, unico a rivoltarsi fu il duca del Friuli Hrodgaud (nome composto da "hroþ" [fama] e "gaiðo" [punta di lancia]), appoggiato da Gaido (lett. "punta [di lancia]"), duca di Vicenza, e da Stabile/Stabilinio, duca di Treviso, ma la sommossa venne sedata dall'esercito di Carlo nei primi mesi del 776.
Venne così l'anno 788, in cui Adalgis ottenne dall'imperatrice Irene, che aveva visto sfumare una possibile alleanza con Carlo (il di lei figlio, Costantino VI, avrebbe dovuto sposare la principessa franca Rotrude), un'armata con cui tentare la riconquista. Il luogo scelto per lo sbarco, ben lontano dal regno dei franchi, fu la costa calabra: questo permetteva di ricevere supporto anche dalle guarnigioni bizantine siciliane confidando in un aiuto da parte del principe, nipote dello stesso Adalgis, Grimoaldo I di Benevento (ducato che per mantenere l'autonomia non si impegnò in aiuto del Regno Longobardo contro Carlo e che, alla caduta di Pavia, cambiò titolo in "Principato" stipulando trattati con i Franchi). Purtroppo, per timore di perdere l'indipendenza condizionata del proprio territorio, Grimoaldo I, con i rinforzi di Ildeprando duca di Spoleto (ducato i cui nobili, durante gli scontri alle chiuse, corsero a sottomettersi dal papa dichiarandosi romani) e le guarnigioni franche del messo regio Guinigi, attaccò l'armata di Adalgis sconfiggendola e ponendo fine al sogno di una riconquista longobarda del Regno. Da questo momento non si avranno più notizie della sorte del figlio di re Desiderio.
Desiderio e Adelchi, Atto III, Scena III della tragedia manzoniana "Adelchi" (incisione di Ratti da un disegno di Focosi, tratto da "Opere Varie" di Alessandro Manzoni, pubblicato da Giuseppe Radaelli nel 1845).
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lo scudiero.
I Franchi! i Franchi!
desiderio.
Che dici, insano?
un altro scudiero.
I Franchi, o re.
desiderio.
Che Franchi?
(la scena s’affolla di LONGOBARDI fuggitivi. Entra BAUDO)
adelchi.
Baudo, che fu?
baudo.
Morte e sventura! Il campo
È invaso e rotto d’ogni parte: al dorso
Piombano i Franchi ad assalirci.
desiderio.
I Franchi!
Per qual via?
baudo.
Chi lo sa?
adelchi.
Corriamo; ei fia
Un drappello sbandato.
(in atto di partire)
baudo.
Un’oste intera:
Gli sbandati siam noi: tutto è perduto.
desiderio.
Tutto è perduto?
adelchi.
Ebben, compagni, i Franchi?
Non siamo noi qui per essi? Andiam: che importa
Da che parte sian giunti? I nostri brandi,
Per riceverli, abbiamo. I brandi in pugno!
Ei gli han provati: è una battaglia ancora:
Non v’è sorpresa pel guerrier: tornate;
Via, Longobardi, indietro; ove correte,
Per Dio? La via che avete presa è infame:
Il nemico è di là. Seguite Adelchi.
(entra ANFRIDO)
Anfrido!
anfrido.
O re, son teco.
adelchi.
(avviandosi)
O padre; accorri.
Veglia alle Chiuse.
(parte seguito da ANFRIDO, da BAUDO e da alcuni LONGOBARDI.)
desiderio.
(ai fuggitivi che attraversano la scena)
Sciagurati! almeno
Alle Chiuse con me: se tanto a core
Vi sta la vita, ivi son torri e mura
Da porla in salvo.
(sopraggiungono soldati fuggitivi dalla parte opposta a quella)
da cui è partito ADELCHI)
un soldato fuggitivo.
O re, tu qui? Deh! fuggi.
(attraversa le scene)
desiderio.
Infame! al re questo consiglio? E voi,
Da chi fuggite? In abbandon le Chiuse
Voi lasciate così? Che fu? Viltade
V’ha tolto il senno.
(i SOLDATI continuano a fuggire. DESIDERIO appunta la spada
al petto d’uno di essi, e lo ferma.)
Senza cor, se il ferro
Fuggir ti fa, questo è pur ferro, e uccide
Come quello de’ Franchi. Al re favella:
Perché fuggite dalle Chiuse?
soldati.
I Franchi
Dall’altra parte hanno sorpreso il campo;
Gli abbiam veduti dalle torri. I nostri
Son dispersi.
desiderio.
Tu menti. Il figliuol mio
Gli ha radunati, e li conduce incontro
A que’ pochi nemici. Indietro!
soldati.
O sire,
Non è più tempo: e’ non son pochi; e’ giungono;
Scampo non v’è: schierati ei sono; e i nostri
Chi qua, chi là, senz’arme, in fuga: Adelchi
Non li raduna: siam traditi.
desiderio.
(ai fuggitivi che s’affollano)
Oh vili!
Alle Chiuse salviamci; ivi a difesa
Restar si può.
un soldato.
Sono deserte: i Franchi
Le passeranno; e noi siam posti intanto
Tra due nemici: un piccol varco appena
Resta alla fuga: or or fia chiuso.
desiderio.
Ebbene;
Moriam qui da guerrier.
un altro soldato.
Siamo traditi;
Siam venduti al macello.
un altro soldato.
In giusta guerra
Morir vogliam, come a guerrier conviensi,
Non isgozzati a tradimento.
altro soldato.
I Franchi!
molti soldati.
Fuggiamo!
desiderio.
Ebben, correte; anch’io con voi
Fuggo: è destin di chi comanda ai tristi.
(s’avvia coi fuggitivi) |
Adalgis, nonostante la sorte avvera, era comunque entrato nella leggenda, andando ad ingrossare le fila degli eroi germanici di cui si narravano le gesta, non solo nel perduto Regno Longobardo, ma anche negli altri regni d'Europa. A tal proposito iniziamo col citare, focalizzandoci solo sui passaggi inerenti re Adalgis, l'unica opera giunta sino a noi (delle influenze su altri personaggi parleremo dopo), il Chronicon Novalicense, scritto di un anonimo monaco benedettino dell'XI secolo nell'abazia valsusina di Novalesa (che ospitò il franco Carlo nei giorni che precedettero l'attacco alle chiuse):
"Una volta che Desiderio ebbe preso queste misure e non essendo riusciti i Franchi a trovare un transito che fosse uno, una parte del loro esercito, generalmente un migliaio di soldati, talvolta due; attaccava ogni giorno combattimento tenendo rinserrati i Longobardi che, a loro volta, resistevano dietro quegli apprestamenti di difesa. Desiderio poi aveva un figlio, di nome Algiso, forte delle forze della sua giovinezza. Costui, cavalcando in tempo di guerra, soleva portare con sé una mazza di ferro con cui, colpendoli a forza, abbatteva i nemici. Egli che restava in osservazione giorno e notte, non appena vedeva i Franchi riposare, piombava improvvisamente su di loro da una direzione o dall'altra aggredendoli e menandone grande strage.
[...]
Carlo, il re, radunando con altrettanta immediatezza tutto il suo esercito, mosse, circondandola e assediandola, verso Pavia dove si trovava il re Desiderio con suo figlio Algiso e con la figlia.
[...]
Su quello stesso rimbombo dei cavalli che irrompevano, Algiso, esterrefatto, sguainò la spada dandosi a ferire tutti i Franchi man mano che entravano dalla porta. Ma il padre gli proibì immediatamente ogni resistenza perché tutto avveniva per volontà di Dio. Algiso, rendendosi poi conto di non poter reggere a così forte esercito, s'allontanò fuggiasco." [Chronicon Novalicense, III, 10-14-15]
Abbiamo tagliato dal racconto le interessanti parti riguardanti l'aggiramento delle Chiuse dovuto al tradimento (che sia verità o un topos dell'epica, che affonda le sue radici nella battaglia delle Termopili, non è questa la sede per discuterne) così come la storia romanzata della caduta di Pavia, anch'essa dovuta ad un tradimento (questa sicuramente generata da un topos molto in voga sin dall'antichità); quello che ci preme è dare risalto alle qualità guerriere rispecchiate da re Adalgis: un condottiero sempre vigile, che guida personalmente le incursioni contro i franchi invasori e si schiera in prima fila per difendere la capitale in cui ormai sciamano i nemici.
Impossibile ai nostri occhi non rivedere l'eroico Adalgis, che cavalca in mezzo ai nemici brandendo una mazza ferrata (arma di cui non è attestato l'uso presso i Longobardi), nell'opera realizzata da Gustave Doré nel 1877 "Riccardo Cuor di Leone nella battaglia di Arsuf".
"Riccardo I Cuor di Leone Arsuf battaglia 1191" (Gustave Doré, 1877).
Impossibile non rivedere in questa incisione la descrizione di re Adalgis:
"Desiderio poi aveva un figlio, di nome Algiso, forte delle forze della sua giovinezza. Costui, cavalcando in tempo di guerra, soleva portare con sé una mazza di ferro con cui, colpendoli a forza, abbatteva i nemici. Egli che restava in osservazione giorno e notte, non appena vedeva i Franchi riposare, piombava improvvisamente su di loro da una direzione o dall'altra aggredendoli e menandone grande strage." [Chronicon Novalicense, III, 10] |
Ma torniamo alla Cronaca della Novalesa, perché questa ritorna sul personaggio di re Adalgis, mostrandolo per quello che realmente è stato: il nemico temuto da Re Carlo!
"Una volta, essendo tutto il regno d'Italia sotto la pacifica signoria di Carlo e il re trovandosi nella città di Ticino, detta anche Pavia, Algiso, figlio del re Desiderio, osò entrare di persona nella città, desideroso di sapere ciò che vi si faceva e diceva, com'è degli invidi.
Fin dalla sua giovinezza infatti, già lo dicemmo, era forte fisicamente e audace e assai ardito.
In città non venne riconosciuto proprio da nessuno. Vi era giunto con un barcone, non come figlio di re, ma come uno di mediocre condizione così com'era confuso in un piccolo numero di soldati.
Sebbene nessuno di quei soldati l'avesse riconosciuto, infine venne riconosciuto da uno dei suoi intimi, personaggio un tempo legato da vincoli di fedeltà a Desiderio. Eppure da tanto tempo Algiso aveva perso e regno e padre.
Resosi conto d'essere stato riconosciuto e non potendo nascondersi, Algiso si diede a supplicare l'altro, per quel giuramento che un tempo lo aveva legato a lui e al padre, di non rivelare la sua identità al re Carlo.
Richiesta alla quale l'altro accondiscendendo:
«Sulla mia parola», disse, «non ti tradirò a nessuno. Anzi ti terrò nascosto finché mi sarà possibile».
E Algiso:
«Allora ti prego, o amico, quando oggi il re s'assiederà a mensa, di trovarmi posto a capo d'una tavola. Inoltre fa' in modo di mettermi davanti, man mano che le leverai dalla mensa e dai posti dei convitati, tutti gli ossi, sia quelli spolpati sia quelli ancora con un po' di carne».
E quello:
«Farò come vuoi».
Infatti si trattava del personaggio incaricato dell'ordine delle portate alla mensa reale.
Ritrovatosi a pranzo con Algiso, si comportò come negli accordi. E Algiso stritolava tutti gli ossi nutrendosi del loro midollo, come un leone affamato divora la sua preda. E poiché i resti degli ossi li gettava sotto la tavola, vi fece un mucchio piuttosto notevole. Poi, alzatosi da tavola, se ne andò prima degli altri.
Il re, alzatosi a sua volta da tavola, nel vedere quel mucchio sotto la tavola esclamava:
«Chi, mio Dio, ha potuto stritolare tutti questi ossi?»
Nessuno gli seppe rispondere, tranne uno.
«Ho visto, seduto qui, un soldato fortissimo che stritolava ossi di cervo e d'orso e di bue come si fosse trattato di fuscelli di paglia.»
Fu quindi chiamato al cospetto del re quel siniscalco.
A cui il re:
«Chi era e donde veniva il soldato che, seduto qui, ha stritolato, mangiando, tutti questi ossi?»
E quello, in risposta:
«Non lo so, mio signore».
E il re:
«Sulla corona che m'incorona, tu lo sai».
Vedendosi scoperto, quello temette e immediatamente ammutolì.
Avendo il re immaginato che si fosse trattato di Algiso, molto si rammaricava d'averlo lasciato andare impunemente, e rivolgendosi ai suoi:
«Da che parte è andato?»
E uno di essi:
«Venuto com'è con un barcone, penso, mio signore, che cosi se ne sia pure andato».
E disse un altro al re:
«Vuoi, mio signore, che lo insegua e che lo uccida?»
Gli rispose il re:
«Come?»
«Dammi i tuoi bracciali e vedrai che riuscirò ad ingannarlo.»
Il re gli diede i bracciali che aveva al braccio destro, e quello si diede a inseguire Adelchi per ucciderlo." [Chronicon Novalicense, III, 21]
Un altro nemico di Carlo, diventato poi un suo intimo dopo la conversione, usò un simile stratagemma per introdursi alla corte dell'avversario; non sappiamo quale racconto sia stato influenzato dall'altro e ci limitiamo a riportare come, a differenza di Adalgis, il sassone Widukind venne riconosciuto dal re franco che lo accolse indottrinandolo. Infatti nell'anno 785, dopo la sconfitta sul fiume Hasam, Widukind raggiunge in incognito l'accampamento del re: "Wedekindus nelle vesti di un mendicante approda dal fiume con una piccola imbarcazione: e, per non essere riconosciuto, da mendicante si sedette tra i poveri" [Acta sanctorum: Januarii (I), capitolo "Vita Beati Witterkindi Magni westphaliae Ducis", p.384]
Widukind (Wittekind), opera di Johann Heinrich Wefing per il Wittekinddenkmal di Herford (l'opera andò perduta nel 1942 quando venne fusa). |
La sfida che Adalgis lancia a Carlo non si esaurisce con il suo intrufolarsi a corre. Un interessante messaggio, che può sfuggire ai più, è dato dall'episodio della rottura delle ossa, che affonda le proprie origini nella tradizione germanica precristiana (citiamo a tal proposito il racconto di Thor e dei suoi capri messo per iscritto, nel XIII secolo, dall'islandese Snorri Sturluson nell'Edda in prosa [Gylfaginning, 44]) di cui la cultura longobarda era ancora fortemente impregnata. Per aiutare a capire il simbolismo del messaggio lanciato da Adalgis usiamo le parole del professor Massimo Montanari, docente ordinario di Storia Medievale, che scrive: "Con le ossa degli animali non si scherza. È questione di vita o di morte. Spezzarle tutte, sistematicamente, per succhiarne il midollo, è un modo per augurare la peggiore delle sfortune: che gli animali non riescano più a rigenerarsi, a moltiplicarsi, a crescere sani, a garantire cibo sicuro e la forza fisica di cui un guerriero non può fare a meno. Alla tavola di Carlo Magno, Adelchi sta lanciando una terribile maledizione sul suo nemico." [Massimo Montanari "I racconti della Tavola", Editore Laterza 2014]
"Thor nota che uno dei suoi capri è zoppo da una zampa" (Lorenz Frølich, 1895).
"Allora parlò Þriði: “Ora è chiaro che costui vuole conoscere questa vicenda, nonostante sia sgradita da raccontare. Ora però dovrai tacere. Questa storia iniziò quando Ǫkuþórr partì con i suoi caproni e il suo carro, e insieme a lui c'era l'áss chiamato Loki. All'imbrunire essi giunsero alla casa di un fattore e ricevettero alloggio per la notte. Nel corso della serata, Þórr prese i suoi caproni e li uccise entrambi, dopodiché vennero scuoiati e arrostiti nel calderone. Quando furono cotti, Þórr sedette a cena con i compagni e invitò a mangiare anche il fattore, sua moglie e i loro figli. Il figlio del fattore si chiamava Þjálfi, e la figlia Rǫskva. Þórr mise le pelli dei caproni lontani dal fuoco e disse al fattore e ai suoi servi di gettarvi sopra le ossa. Þjálfi, figlio del fattore, si tenne però il femore di uno dei caproni, che incise col suo coltello e spezzò per estrarne il midollo. Þórr si fermò lì per la notte, ma quando giunse ótta, prima del giorno, si alzò, si vestì e prese il martello Mjǫllnir, lo fece roteare e benedisse le pelli dei caproni. Gli animali allora si alzarono, ma uno di essi era zoppo a una delle zampe posteriori. Þórr lo notò e disse che il fattore o un suo servo non erano stati attenti con le ossa del caprone. Se ne accorgeva poiché l'osso della coscia era rotto.
Non occorre parlarne a lungo: tutti possono immaginare quanto spaventato potesse essere il fattore quando vide che Þórr aggrottava le sopracciglia sopra gli occhi e, quando intravide quegli occhi, riuscì solamente a cadere bocconi davanti al suo sguardo. Þórr serrò le mani attorno al martello con tanta forza che le nocche imbiancarono. Il fattore e tutto il suo seguito fecero allora ciò che c'era da aspettarsi: implorarono misericordia a gran voce, e offrirono come ricompensa tutto quello che avevano. Quando Þórr vide il loro terrore, la furia lo abbandonò; si placò e come compenso prese con sé i figli [del fattore], Þjalfi e Rǫskva, i quali divennero i suoi servitori e da allora lo seguono sempre."
[Snorri Sturluson, Gylfaginning, 44] |
Ritorniamo al racconto, che abbiamo interrotto per alcune doverose puntualizzazioni, della Cronaca della Novalesa:
"Lo inseguì velocissimo per terra, e finalmente s'imbatté in lui. Scortolo da lontano, lo chiamò per nome. Alla risposta di Algiso, gli rivelò che Carlo gli mandava in dono i suoi destrali d'oro e, insieme, il rimprovero d'essersene andato così di nascosto. Aggiunse di far accostare il barcone a riva.
Accostato e visto come il predetto regalo gli venisse porto sulla punta d'una lancia, Algiso si rese conto che sciagura lo sovrastava. Indossata tosto la lorica e afferrando la lancia:
«Se tu», disse, « mi porgi un regalo con la lancia, anch'io devo accettarlo con la lancia. D'altronde se il tuo signore mi mandò regali per inganno, perché tu mi uccidessi, non gli debbo apparire inferiore. Perciò gli manderò i miei».
E gli gettò i suoi destrali perché li portasse a Carlo quasi in taglione. E quello se ne ripartiva immediatamente: il tranello infatti gli si era ritorto contro.
Carlo, ricevuti che ebbe i destrali di Algiso, subito li indossò. E gli salirono fino agli omeri. Carlo allora esclamò:
«Nessuna meraviglia dunque che quell'uomo sia tanto forte».
Il re infatti continuava a temere Algiso poiché aveva privato e lui e il padre del regno. E poiché era eroe la cui forza veniva universalmente lodata, aveva mandato per ucciderlo."
[Chronicon Novalicense, III, 22]
Anche qui la gloria di Adalgis lo inserisce nella tradizione epica germanica visto che è impossibile non trovare un raffronto con un episodio dell'Hildebrandslied (Carme di Hildebrand), un componimento poetico, che alcuni studiosi pensano abbia avuto origine longobarda, datato tra la fine del VIII e gli inizi del IX secolo:
"[Hildebrand] Si strappò dal braccio
l'attorcigliata armilla
forgiata con monete imperiali
che gli aveva donato il re,
signore degli Unni:
«Questa in pace io ora ti dono».
Hadubrand parlò,
figlio di Hildebrand:
«Con le lance devono gli uomini
accettare i doni,
punta contro punta.
[...]
Tu sei, vecchio unno,
molto scaltro:
m'inganni con le tue parole
ma vuoi colpirmi con la tua lancia.
In tal modo sei invecchiato,
sempre tramando inganni."
[Hildebrandslied, 59-75]
Rappresentazione del 1570 del duello tra padre e figlio sul frontespizio dello Jüngeres Hildebrandslied (rielaborazione del XV secolo dell'Hildebrandslied). |
Ci sono poi due personaggi delle chanson de geste le cui storie sono state influenzate dalla figura del nostro Adalgis (o, meglio, dai racconti, purtroppo mai giunti sino a noi, che circolavano nelle corti d'Europa sull'ultimo Re dei Longobardi): Holger Danske, noto anche come Holger o Uggeri il Danese, e Maugis d'Aigremont, italianizzato in Malagiso/Malagigi.
In merito a Holger citiamo l'opinione di due studiosi:
"Ma fino a che punto il popolo danese, che ha eletto Holger Danske suo eroe nazionale, possa accettare l'idea che lo riduce a un secondario nobile vallone, io non lo so. Per quanto mi riguarda, sono fortemente propenso ad identificare Ogier-Holger con un certo Algisus, figlio di re Desiderio il Longobardo, che sembra essere stato l'eroe di qualche perduto poema popolare di cui ci è pervenuta l'eco nel Chronicon Novalicense" [Ludlow John Malcolm Forbes, "Popular epics of the middle ages of the Norse-German and Carlovingian cycles - Vol.II", 1865]
e
"Si può affermare che questi due personaggi hanno tratti comuni riconoscibili e che secondo le regole ordinarie del processo epico dobbiamo ammettere piuttosto che questi tratti sono passati da Adelchi a Ogier, anzichè da Ogier ad Adelchi. I Francesi, che provavano tanta ripugnanza per i Longobardi, e che li disprezzavano come pusillanimi e codardi, volsero a favore di un eroe nazionale i tratti gloriosi di un Longobardo"
[Gabotto, Ferdinando, «Notes sur quelques sources italiennes de l'épopée française au Moyen Âge», Revue des langues romanes, 40, 1897, p. 241-264]
Statua di Holger Danske, realizzata da Hans Peder Pedersen-Dan, conservata nel Castello di Kronborg (Helsingør, Danimarca). |
Su Maugis d’Aigremont ci rifacciamo agli scritti di Gustav Adolf Beckmann che, nel 1973 sul "Zeitschrift für romanische Philologie", sostiene di come il personaggio di Maugis risulterebbe una sintesi tra lo storico eroe nazionale longobardo Adalgis e la figura popolare/fiabesca del Meisterdieb (lett. "Il Maestro dei Ladri", che potrebbe esser reso meglio come "Il Re dei Ladri"). Anche Maugis si introduce alla corte di Carlo, travestito da pellegrino, e come Adalgis "ruba un pasto" al re franco (e poi anche la spada e la corona). Leggendo Beckmann capiamo come "il demonizzato Al-gis si chiama Mal-gis [...] La trama di Maugis può benissimo essere intesa come un'intensificazione e diversificazione del motivo di base della saga di Algis. Infine, l'atmosfera morale in cui si svolge la trama di Maugis è ombrosa in modo molto simile a quella della storia di Algis nella Cronaca. [...] Le origini di Maugi dalla famiglia Beuve sono insufficienti a spiegare l'ostinato odio dell'imperatore per Maugis. Se si segue l'interpretazione che abbiamo suggerito, l'intensità di questo odio si spiega da sé. [...] Crediamo di aver dimostrato che Maugis è sì la metamorfosi demonizzata di un personaggio storico, ma che, attraverso la sua demonizzazione, si è reso “disponibile” per altri contesti narrativi" [Gustav Adolf Beckmann, «Maugis d’Aigremont. Zur Genesis einer literarischen Gestalt»].
"Maugis ruba degli oggetti di valore a Carlo Magno" (immagine tratta dal racconto eroico "Les quatre fils d'Aymon", M. Ardant, Limoges, 1849). |
Come abbiamo potuto sin qui vedere, il valore del nobile longobardo Adalgis era noto in tutto il mondo germanico. Ricordiamoci quindi sempre del nostro grande Re Adalgis, la cui gloria, nonostante l'oscurantismo dovuto alla damnatio memoriae che il Re dei Franchi, il Papa ed i loro seguaci applicavano a figure "scomode", è sopravvissuta nei secoli arrivando perfino ad influenzare le storie di molti altri eroi.
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