LA LAMINA DELLA VALDINIEVOLE |
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Articolo pubblicato su www.facebook.com/Winniler in data 3/06/2020 ATTENZIONE: si ricorda che quanto compare in questa pagina è coperto dalle vigenti norme del copyright |
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Del Regno Longobardo (568-774) non sono giunti sino a noi i dipinti osservati da Paolo di Warnefrit nel palazzo fatto erigere a Monza dalla regina Theudelinda (figlia del duca bavarese Garibald e nipote del re longobardo Waccho, moglie prima di re Authari e poi di re Agilwulf) né codici miniati, visto che i nove manoscritti contenenti le leggi dei Longobardi sopravvissuti ai secoli sono stati ricopiati tra l'830 e il 1025. Non abbiamo quindi fonti pittoriche coeve capaci di mostrarci l'abbigliamento e l'armamento dei Longobardi; fortunatamente la produzione artigiana viene in nostro aiuto lasciandoci anelli, placche decorative ed incisioni capaci di mostrarci, anche se in maniera a volte molto stilizzata, dettagli sul costume dei nostri antenati.
La lamina costituisce il frontale di un Lamellenhelm, un elmo lamellare, appartenuto ad una personalità certamente di rango elevato (riportiamo per dovere di cronaca come alcune interpretazioni la vedano, data la struttura appiattita anziché leggermente curva che dovrebbe avere su un elmo, come una semplice placca, magari apposta su uno scrigno, tesa a mostrare la gloria del re longobardo a chi avesse la fortuna di scorgerla... e nulla esclude che nei secoli il frontale, allontanato dal resto del corredo, di cui non risulta alcuna traccia, non sia stato appiattito ed usato a tal fine). I fori sui bordi avevano funzione di fissaggio all'elmo tramite legacci di cuoio.
Supponendo che la lamina non abbia mai lasciato la Valdinievole, o almeno il territorio del ducato di Lucca, dal momento in cui un nobile la ricevette in dono, incastonata in un elmo, possiamo pensare che il fortunato possessore di tale gioiello fosse preposto a mantenere aperta la via appenninica, che permetteva le incursioni verso Roma, contrapponendosi alle milizie romane del magister militum che da Fiesole, ai tempi di re Agilwulf, si scontravano con l'esercito regio sul limes bizantino del tempo. Il dorato frontale figurato, posto su un simbolo militare come l'elmo, avrebbe dato a costui maggiore autorità esaltando al tempo stesso il potere e la gloria regia.
Tutta la rappresentazione, seppur presumibilmente prodotta da una manifattura della corte longobarda, trae chiara ispirazione dall'arte imperiale romano/bizantina e dall'arte sacra ravennate, a partire dal gesto della mano del sovrano, per continuare con la tipologia e la collocazione delle figure e dei simboli che vedremo a breve.
Ma perché una scritta in latino? Purtroppo il longobardo era una lingua d'uso esclusivamente orale, per un uso scritto, come quello fatto negli Editti, venne adottata la parlata degli scribi locali (al tempo principalmente appartenenti al clero) che aveva anche il vantaggio di essere compresa dalla popolazione italica... lo svantaggio maggiore, dovuto anche alle ingerenze della Chiesa, fu quello della progressiva perdita di un'identità linguistica.
Come già detto la lamina doveva mostrare la gloria del re al suo popolo ed ai suoi sudditi (con quest'ultimo termine si intendeva anche la popolazione italica residente nel Regno) ed anche a possibili ambasciatori provenienti dall'estero, non appare quindi strano trovare nella rappresentazione figure ben note al mondo romano: a fianco dei gasinþjaz, esattamente sopra le aperture orbitali dell'elmo, troviamo due "vittorie alate" in avvicinamento; queste figure, certamente non appartenenti alla tradizione germanica, recano nella mano prossima al re un corno potorio (questa sì un oggetto tipicamente germanico, usato sia nei banchetti che nella ritualità ed a volte deposto nelle sepolture) mentre nell'atra mano stringono un'asta con sulla sommità una tavola (una versione del labaro ben noto nel mondo mediterraneo) con sopra incisa la scritta VlCTVRIA.
Spostandoci ancor più verso i limiti esterni della lamina troviamo, speculari, due coppie di figure che si avvicinano al re: le 2 più prossime protendono la mano verso il sovrano, con un gesto che potrebbe indicare adorazione, ma anche supplica oppure l'offerta di un dono, e rappresentano un longobardo (sul lato destro di chi guarda la lamina, riconoscibile dalla barba) ed un italico (sul lato sinistro di chi guarda la lamina, riconoscibile dal volto glabro). Alle loro spalle altre 2 figure portano/offrono ognuna una corona sormontata da una croce a rappresentare il dominio del sovrano sui Longobardi e sugli italici presenti all'interno dei confini del Regno (rappresentati dalle torri che chiudono la scena). Queste due coppie hanno funzione di riconoscere la sovranità di Agilwulf sul Regno (l'offerta delle corone) e legittimarne il potere (i personaggi supplici/adoranti/forieri di doni).
Anche la corona era un oggetto totalmente estraneo alla cultura longobarda, visto che il simbolo del potere regale veniva rappresentato dalla lancia regia (sempre appartenente alla tradizione odinica che permeava le più sacre consuetudini longobarde). Ma perché allora re Agilwulf non viene rappresentato con quest'arma? Senza contare possibili scelte stilistiche effettuare dall'artigiano incaricato della realizzazione della lamina ricordiamo, come abbiamo visto nell'articolo "La spada ed il fantasma di re Albwin", come la spada non fosse un'arma di poco conto poiché, secondo la cultura germanica, canalizzava la potenza del guerriero che la brandiva ed aveva una forte valenza magico/simbolica agli occhi del popolo. Inoltre dobbiamo tenere a mente come il re a corte non portasse sempre con sé lancia e scudo, di certo ingombranti, ma aveva nobili incaricati di sorreggere tali armi. Non conosciamo il nome longobardo che identificava chi avesse l'onore di portare l'asta regia, ma sappiamo che lo scudiero era detto "scildpor" (vocabolo composto da "scild-" o "scil-", cioè "scudo" e "-por", che ha valore di "portatore") ci permettiamo quindi di azzardare, senza pretesa di essere portatori di alcuna verità in merito, come il custode della lancia del sovrano potesse aver nome "gairepor" (dove "gaire-" in longobardo significa "lancia").
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