LA LAMINA DELLA VALDINIEVOLE

Articolo pubblicato su www.facebook.com/Winniler in data 3/06/2020

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Del Regno Longobardo (568-774) non sono giunti sino a noi i dipinti osservati da Paolo di Warnefrit nel palazzo fatto erigere a Monza dalla regina Theudelinda (figlia del duca bavarese Garibald e nipote del re longobardo Waccho, moglie prima di re Authari e poi di re Agilwulf) né codici miniati, visto che i nove manoscritti contenenti le leggi dei Longobardi sopravvissuti ai secoli sono stati ricopiati tra l'830 e il 1025. Non abbiamo quindi fonti pittoriche coeve capaci di mostrarci l'abbigliamento e l'armamento dei Longobardi; fortunatamente la produzione artigiana viene in nostro aiuto lasciandoci anelli, placche decorative ed incisioni capaci di mostrarci, anche se in maniera a volte molto stilizzata, dettagli sul costume dei nostri antenati.

Oggi parliamo della celebre "lamina dorata della Valdinievole" (impropriamente nota come "lamina di Agilulfo"): il reperto "trovato trasportando sassi, fra i ruderi di un castello in Valdinievole" (così recitava una lettera del 16 luglio 1891) è una placca in bronzo dorato di 6,7 x 18,8 cm, risalente al VII secolo ed attualmente conservata al Museo Nazionale del Bargello di Firenze (Inv. n. 681).

La lamina dorata della Valdinievole (Museo Nazionale del Bargello, Firenze).

La lamina costituisce il frontale di un Lamellenhelm, un elmo lamellare, appartenuto ad una personalità certamente di rango elevato (riportiamo per dovere di cronaca come alcune interpretazioni la vedano, data la struttura appiattita anziché leggermente curva che dovrebbe avere su un elmo, come una semplice placca, magari apposta su uno scrigno, tesa a mostrare la gloria del re longobardo a chi avesse la fortuna di scorgerla... e nulla esclude che nei secoli il frontale, allontanato dal resto del corredo, di cui non risulta alcuna traccia, non sia stato appiattito ed usato a tal fine). I fori sui bordi avevano funzione di fissaggio all'elmo tramite legacci di cuoio. Supponendo che la lamina non abbia mai lasciato la Valdinievole, o almeno il territorio del ducato di Lucca, dal momento in cui un nobile la ricevette in dono, incastonata in un elmo, possiamo pensare che il fortunato possessore di tale gioiello fosse preposto a mantenere aperta la via appenninica, che permetteva le incursioni verso Roma, contrapponendosi alle milizie romane del magister militum che da Fiesole, ai tempi di re Agilwulf, si scontravano con l'esercito regio sul limes bizantino del tempo. Il dorato frontale figurato, posto su un simbolo militare come l'elmo, avrebbe dato a costui maggiore autorità esaltando al tempo stesso il potere e la gloria regia.

La scena che vi è ritratta, a sbalzo, mostra al centro la figura di re Agilwulf [lett. "lama del lupo" o anche "lupo che incute timore", turingio della stirpe degli Anawas, prima duca di Torino e, dal 591 al 616, re dei Longobardi grazie al matrimonio con la regina Theudelinda] che solleva la mano destra nell'atto di benedire, mentre poggia la sinistra sul fodero della spada. Il sovrano è affiancato da 2 gasinþjaz [in italiano "gasindi", lett. "compagni di viaggio", cioè gli uomini del seguito del re, la sua guardia personale] dotati di lancia e scudo e protetti da corazza ed elmo lamellare.

La rappresentazione della sala del trono di re Agilwulf, mostrata sul frontale dell'elmo della Valdinievole, rivive in questa splendida immagine di Giuseppe Rava (pubblicata sul volume "L'esercito Longobardo 568-774", EMI 1991).

Tutta la rappresentazione, seppur presumibilmente prodotta da una manifattura della corte longobarda, trae chiara ispirazione dall'arte imperiale romano/bizantina e dall'arte sacra ravennate, a partire dal gesto della mano del sovrano, per continuare con la tipologia e la collocazione delle figure e dei simboli che vedremo a breve.

Il re, che non indossò l'elmo a cui apparteneva la lamina (per questo diciamo che è improprio chiamarla "lamina di Agilulfo"), ma che lo donò ad un nobile per assicurarsi la sua fedeltà e mostrare sulle terre di questo il proprio prestigio, presenta le caratteristiche tipiche dei longobardi: una capigliatura, divisa da una scriminatura centrale, che si continua ai lati con la barba. E' questa la tipica acconciatura "odinica" di cui più volte abbiamo parlato, che rimase anche in periodo cristiano per rimarcare la fedeltà ai valori tradizionali longobardi (che ebbero origine con l'episodio degli dèi Godan e Frea, che donarono un nuovo nome a tutto il popolo assieme alla vittoria sui Vandali).

Tra la testa del re e quella delle sue guardie compaiono delle iscrizioni a punzonatura in cui si legge da un lato "DN AG IL U" [che per esteso sarebbe dovuto essere D(omi)N(o)/AG/IL/U(lf) cioè "Nobile Agilulf"] e dall'altro REGI (cioè "Re"). Come abbiamo visto nel nostro articolo "Aubald, un duca sconosciuto" il titolo "domnis" (contrazione del classico "domini") nei documenti d'età longobarda veniva riservato a persone di rango elevato (re, duchi ed alte cariche ecclesiastiche).

La lamina dorata della Valdinievole fotografata il 27 Settembre 2007 a Torino, nelle sale di Palazzo Bricherasio, durante l'inaugurazione della mostra "I Longobardi, dalla caduta dell'impero all'alba dell'Italia".

Ma perché una scritta in latino? Purtroppo il longobardo era una lingua d'uso esclusivamente orale, per un uso scritto, come quello fatto negli Editti, venne adottata la parlata degli scribi locali (al tempo principalmente appartenenti al clero) che aveva anche il vantaggio di essere compresa dalla popolazione italica... lo svantaggio maggiore, dovuto anche alle ingerenze della Chiesa, fu quello della progressiva perdita di un'identità linguistica.

Osservando la lamina viene subito da porsi una domanda: come mai gli arimanni, i gasinþjaz, in assetto da parata vicino al re non presentano la barba tipica che li avrebbe identificati come Longobardi? La risposta che ci diamo è abbastanza semplice: le due figure di armati, posti sullo sfondo della rappresentazione, sono le più piccole e per scelta stilistica l'artista potrebbe aver deciso, per non creare un'immagine confusa, di non appesantire con troppi dettagli i volti (già stretti tra i paragnatidi dei Lamellenhelm). Poco credibile, soprattutto agli inizi del Regno, risulterebbe una guardia personale composta da soldati italici (quindi glabri secondo l'usanza romana del tempo).

Ipotesi ricostruttiva di un elmo lamellare che monta un frontale dorato simile a quello della lamina della Valdinievole.

Come già detto la lamina doveva mostrare la gloria del re al suo popolo ed ai suoi sudditi (con quest'ultimo termine si intendeva anche la popolazione italica residente nel Regno) ed anche a possibili ambasciatori provenienti dall'estero, non appare quindi strano trovare nella rappresentazione figure ben note al mondo romano: a fianco dei gasinþjaz, esattamente sopra le aperture orbitali dell'elmo, troviamo due "vittorie alate" in avvicinamento; queste figure, certamente non appartenenti alla tradizione germanica, recano nella mano prossima al re un corno potorio (questa sì un oggetto tipicamente germanico, usato sia nei banchetti che nella ritualità ed a volte deposto nelle sepolture) mentre nell'atra mano stringono un'asta con sulla sommità una tavola (una versione del labaro ben noto nel mondo mediterraneo) con sopra incisa la scritta VlCTVRIA.

Due corni potori vitrei provenienti dalle sepolture longobarde di Spilamberto (MO) , a sinistra, e Cividale del Friuli (UD), a destra.

Spostandoci ancor più verso i limiti esterni della lamina troviamo, speculari, due coppie di figure che si avvicinano al re: le 2 più prossime protendono la mano verso il sovrano, con un gesto che potrebbe indicare adorazione, ma anche supplica oppure l'offerta di un dono, e rappresentano un longobardo (sul lato destro di chi guarda la lamina, riconoscibile dalla barba) ed un italico (sul lato sinistro di chi guarda la lamina, riconoscibile dal volto glabro). Alle loro spalle altre 2 figure portano/offrono ognuna una corona sormontata da una croce a rappresentare il dominio del sovrano sui Longobardi e sugli italici presenti all'interno dei confini del Regno (rappresentati dalle torri che chiudono la scena). Queste due coppie hanno funzione di riconoscere la sovranità di Agilwulf sul Regno (l'offerta delle corone) e legittimarne il potere (i personaggi supplici/adoranti/forieri di doni).

Lamellenhelm affiancato alla lamina della Valdinievole.

Nella parte bassa dell'immagine la ricostruzione dell'armatura lamellare di Niederstotzingen e la modalità d'assemblaggio delle piastre.

[Particolare di una tavola di Angus McBride comparsa sul volume "Germanic Warrior 236-568 AD", Osprey Publishing, 1996]

Anche la corona era un oggetto totalmente estraneo alla cultura longobarda, visto che il simbolo del potere regale veniva rappresentato dalla lancia regia (sempre appartenente alla tradizione odinica che permeava le più sacre consuetudini longobarde). Ma perché allora re Agilwulf non viene rappresentato con quest'arma? Senza contare possibili scelte stilistiche effettuare dall'artigiano incaricato della realizzazione della lamina ricordiamo, come abbiamo visto nell'articolo "La spada ed il fantasma di re Albwin", come la spada non fosse un'arma di poco conto poiché, secondo la cultura germanica, canalizzava la potenza del guerriero che la brandiva ed aveva una forte valenza magico/simbolica agli occhi del popolo. Inoltre dobbiamo tenere a mente come il re a corte non portasse sempre con sé lancia e scudo, di certo ingombranti, ma aveva nobili incaricati di sorreggere tali armi. Non conosciamo il nome longobardo che identificava chi avesse l'onore di portare l'asta regia, ma sappiamo che lo scudiero era detto "scildpor" (vocabolo composto da "scild-" o "scil-", cioè "scudo" e "-por", che ha valore di "portatore") ci permettiamo quindi di azzardare, senza pretesa di essere portatori di alcuna verità in merito, come il custode della lancia del sovrano potesse aver nome "gairepor" (dove "gaire-" in longobardo significa "lancia").

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Bibliografia:
- Otto von Hessen, Frontale d'elmo di Valdinievole [in I Longobardi, Milano 1990, pag. 96]
- Giulio Ciampoltrini, Un contributo per la 'lamina di Agilulfo', [in Prospettiva, 52, 1988, pp. 50-52]

Vessillo e figuranti dei Winniler davanti alla lamina dorata della Valdinievole (fotografia scattata il 27 Settembre 2007 a Torino, nelle sale di Palazzo Bricherasio, durante l'inaugurazione della mostra "I Longobardi, dalla caduta dell'impero all'alba dell'Italia").

Dietro la lamina si noti la ricostruzione di un Lamellenhelm.