RESISTENZA AI FRANCHI IN VAL CAMONICA

Articolo pubblicato su www.facebook.com/Winniler in data 4/11/2020

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Quando, a seguito della caduta del Regno Longobardo (nel 774) per opera delle armate Franche di Carlo, si pensa ad atti di ribellione nei confronti dell'invasore la mente va subito ai tentativi del re spodestato, e in esilio a Costantinopoli, Adelchis/Adalgiso oppure alla ben nota rivolta del duca del Friuli Hrodgaud (conosciuto anche come Rotcauso o Rotgaudo ed appoggiato da Stabilinio duca di Treviso e da Gaido duca di Vicenza) nel 776, sul cui epilogo le fonti discordano (totale annientamento o accordo di pace).

Spesso ci si dimentica che diversi dovevano essere gli atti di ribellione alle milizie d'oltralpe: certo spesso si trattò sicuramente di episodi di poco conto, ma a volte la situazione poteva rivelarsi molto più ostica per il nemico di quanto la storiografia (sempre occupata a guardare alle più famose rivolte dei Sassoni) voglia farci credere.

Illustrazione di Angus McBride apparsa a pagina 37 del volume di Tim Newark "Barbarians" (Concord Publications, 1998).

Vi troviamo rappresentato un nobile Longobardo, dell'VIII secolo, posto a difesa di una vallata alpina del Regno, di fronte al cadavere di un invasore Franco al servizio di re Carlo durante la sua guerra di conquista del Regno Longobardo.

E' questo il caso dei moti di ribellione della Val Camonica, e delle aree ad essa limitrofe, facenti forse parte della rivolta del duca Hrodgaud (dato l'anno in cui ebbero luogo, il 776) e, parrebbe, organizzati del re Adelchis e dal suo nuovo alleato, l'imperatore Romano d'Oriente.

Per raccontare questi eventi, accaduti ad est del fiume Adda (quindi nella macroregione del Regno Longobardo conosciuta col nome di Austria), cediamo volentieri la parola ad una cronaca del 1698, e cioè "Curiosi trattenimenti continenti raguagli sacri, e profani de' popoli Camuni", scritta da tale Frà Gregorio di Valcamonica. Ovviamente il millennio passato dagli eventi descritti, la bramosia di incensare il re Carlo come benigno e magnanimo difensore della fede cattolica contro gli infedeli (quindi i nemici del Papa, fossero essi dediti alla Fede Tradizionale dei Longobardi, al cristianesimo Ariano od all'ortodossia iconoclasta dell'Imperatore d'Oriente) o il desiderio di rendere il racconto degno dell'epica medievale, possono aver esagerato alcuni passaggi, ma non per questo dobbiamo credere che tutto sia fasullo.

Cartina della Lombardia e, nel particolare, della Val Camonica: sono evidenziate le località che sarebbero state toccate da Carlo Magno nel corso della sua spedizione.
[immagine tratta da Archeo #373 (Marzo 2016)]

Nel testo sottostante abbiamo riportato solo gli eventi di ribellione all'armata franca, tralasciando le storie dei Signori locali che si sottomisero subito abbracciando la fede cattolica (cosa che, come leggerete, era l'unica via di salvezza per gli sconfitti se volevano, come da tradizione di quel grasso suide di Carlo, aver salva la vita).

Allegate a questo nostro breve testo trovate alcune immagini tratte dal numero #373 della rivista "Archeo" (Marzo 2016, articolo intitolato "Dove Carlo Magno sconfisse i pagani") che mostrano alcuni resti delle fortificazioni sulle vette di Vione (ultima, disperata resistenza dei lealisti della Val Camonica, di cui potete leggere più sotto).

Tor dei Pagà (Vione, Brescia). Veduta dei resti finora riportati alla luce dell’insediamento fortificato di epoca medievale. Secondo la tradizione, il sito sarebbe stato toccato da Carlo Magno in occasione della campagna da lui condotta per acquisire il controllo della Val Camonica.
[immagine tratta da Archeo #373 (Marzo 2016)]

Cediamo quindi la parola a questi estratti di "Curiosi trattenimenti continenti raguagli sacri, e profani de' popoli Camuni" (Frà Gregorio di Valcamonica, 1698):

«Già erano scorsi due anni [...] da che imprigionato Desiderio e fugato Adalgiso erano traspiantati in Italia i Gigli di Francia, quando per reprimere la ribellione Longobarda ripassò l’Alpi con le sue armi il Rè Carlo, et all’hora fù, secondo le più fondate osservazioni, che per disertare ogni reliquia d’empietà, e togliere il fomento d'ulteriori sollevazioni fece quel gran Monarca l'impresa di Val Camonica.
[...]
Consultato con suoi Comandanti il modo da praticarsi nell’attaccare quella Patria, si concluse di tenere la via delle Valli Bergamasche, e procurar d'acquistare prima la divozione delle genti, e Governatori di quelle, e della città stessa di Bergamo, che stava nell'esser medesimo, in che si trovava Val Camonica.
Verso la detta Città per tanto drizzò Carlo Magno l'esercito, nel quale solamente di Lancie ne marchiavano quattro mille; et essendo Signore della Città il Duca Lupo [...] il Rè Carlo lo combattè; e doppo alcuni conflitti ridotto Lupo alle strette s'arrese, e si convertì alla Fede Cattolica, essendo prima Ariano
[...]
[Carlo] conduceva seco sette Vescovi [...] con quelli e col Duca Lupo mosse l'esercito verso Val Camonica, detta allora Oriola, [...] venendo nelle parti interiori della Valle al Castello di Eseno, ove dominava uno per nome Ercole, perfido nemico della Romana Chiesa, il quale perseverando nelle durezze, nè volendo rendersi, anzi sprezzando, fu sottomessa la Fortezza à forza d'armi, et ucciso il Comandante, si consegnò à soggetto Cattolico. [...] Ottenuta quella vittoria portossi il campo al Ponte della Città di Blasia (così all'hora chiamata l'antica Vannocia, e Vannia hora detta Cividate) dov'era Comandante un Malaguzzo, il quale voleva ben sì credere, e ricevere la Fede Cattolica, ma non sottomettersi in modo alcuno à Carlo Magno, il quale perciò hebbe qui molto à combattere: e finalmente lo tirò al suo potere, venendo il Comandante, e molti dei suoi alla Fede Cattolica, ritirandosi altri, che ricusarono verso i confini della Valle.
[...]
Portandosi con l'armata sotto il Castello di Breno, tenuto da Carnerio, ò Cornelio Alano, che alcuni chiamano con titolo di Rè (e forsi doveva essere di Sangue Reggio tra i popoli Alani), ma quì non pottè havere realmente se non il carattere di Vice Rè; ben sì diede a conoscere, che era nemicissimo della Fede Cattolica, e del nome de Francesi, che militando a cenni del Greco Imperatore Costantino Quinto Iconoclasta (com'era cred'io ancora costui) era provisto di coraggio, e di gente, per resistere a Carlo; poichè à gl'Araldi, ch'andettero da lui à chiamare la resa, rispose risoluto, di non volere, nè mutare Religione, nè rendere la Fortezza, et esser pronto à difendersi fino all'ultima stilla di Sangue. Trovò assai che fare il Rè Carlo in quest'impresa, così perchè il Castello era fortissimo, e quasi insuperabile per la natura del sito inaccessibile, come perche, oltre il gran numero de soldati valorosi, e ben provisti, molti nobili Longobardi, che si mantenevano per il proprio Rè, s'erano ivi, per difendersi dal Rè Carlo, ritirati. Nientedimeno stringendo ogn'hor più la Fortezza, e molestandola incessantemente con diversità di bellici stromenti, l'Alano, per non ridurli all'estremo, ingannando gli Aggressori con lasciare nella Fortezza facette accese, et alcune Sentinelle, se n'uscì egli di notte tempo col resto delle sue genti, e con tutta la famiglia, seco conducendo il danario, et i più spediti arnesi. Con grandissima diligenza, e con secretezza per l'amico silenzio delle stelle di buon passo caminando, arrivò per la parte di Gorzone, et Angolo nella Val Decia, hora di Scalue; e varcato il fiume, che gli dà il nome, per strade erte e malagevoli salì alla contrada di Colero, e d'indi montò sul monte Polzono, ritirandosi ivi sù la Corna, che stimò secreto, e sicuro asilo per se, e per tutta la sua gente. S'ingannò egli però di gran lunga, essendo anzi quel sito molto infausto agli Alani, e perchè ivi fu ucciso il Rè Biorgo Alano [...]. Carlo Magno avvedutosi la mattina della fuga, e raguagliato del viaggio, che tenuto haveva l'Alano, seguillo alla coda per la via sotto il salto di Barbica, hoggi chiamato Corna mozza al Dosso; quindi al Ponte di Pietra, dov'era una piccola Villa, pervenuto, da gl'habitanti fu meglio, e più intieramente informato del viaggio, che fatto haveva, e del luogo dove s'era con lui ritirato, e nascosto. Così ripigliate le arme del fuggitivo inviossi Carlo con l'esercito, e con gran celerità verso la Corna di Polzano, dove gionto, non trovò il nemico (come si credeva) timoroso, e sprovisto, anzi tutt'intrepido, e ben in arme, che squadronate le sue genti era disposto per combattere, e difendersi. S'attaccò fiera, e attroce battaglia, dove molti d'ambe le parti morirono, restò la vittoria per qualche poco di tempo dubiosa; ma finalmente per favore del Cielo piegò dalla parte di Carlo, mentre Carnerio, ò Cornelio, estinti quasi tutti i suoi, stretto da ogni parte, non potendo più ne difendersi, ne scappare fù sforzato piegarsi all'invincibile vincitore. Fatto dunque prigione quest'Alano, dove quell'altro restò ucciso, rese il Rè Cristianissimo grazie à Dio di così illustre vittoria, et inginochiandosegli il Prigioniero dinnanzi, chiedendo la vita, glie la donò, e di più lo ricevè in grazia, à patto, e condizione però, che detestati gli errori, abbracciasse la Fede Cattolica, come si dice, che facesse.
[...]
Ritornò in Val Camonica e si ridusse di nuovo sotto la Fortezza di Breno, dove inteso da quella poca Guarnigione l'accaduto à compagni, et al Patrone, senza più combattere, subito s'arrese, ricevendo anch'essa la vera Fede di Girsù Christo.
[...]
Si mosse da Cemo verso Edolo, dividendo l'esercito in due corpi, per poter in un medesimo tempo sottomettere tutte le Terre, che per quel tratto di paese all'una, e all'altra riva dell'Oglio si trovano [...] s'unì poi l'esercito poco lontano da Sonico, e riposò alquanto nel luogo. [...] Di qui s'avanzò à Edolo, dove il Duca Lamdesio venne ad incontrare Carlo Magno, et à riceverlo conducendolo al suo castello d'Amone, dove lo trattò splendidamente [...] gli giurò fedeltà et obbedienza, e dichiarossi vero Cristiano Cattolico. Tutto lieto il divoto Monarca [...] da questo fu avvertito, ch'ivi vicino sopra d'un eminente giogo stavano tutt'i confederati, co i fuggitivi della Valle, risoluti di difendersi, et resistere all'arme Galliche; Ciò inteso Carlo Magno, si mosse coll'esercito verso di quella cima altissima, dove giunto, trovò in vasta pianura il campo nemico in arme, e tutto disposto a combattere; e conobbe alla vista di così poderoso hoste, che non haveva dormito Adalgiso, ne l'Imperatore in Costantinopoli; havendo potuto per mezzo dei loro amici spingere tante milizie a sostenere il loro partito in quelle si rimote parti. Datosi per tanto gli eserciti il segno di battaglia col gitto d'un Guanto, Carlo fu il primo, che si mosse contro i Confederati, che squadronati, e ben in ordine, con piè fermo ricevettero l'attacco; e fu così fiero dall'una, e l'altra parte il conflitto, che per molto spazio di tempo restò ambiguo, da qual parte havesse da piegare la vittoria. Nientedimeno la Fanteria confederata cominciò a piegare, e restar superiore quella del Rè Carlo, che in fine col aiuto di Dio, per la gloria del quale combatteva, rimase patrona tottalmente del campo; ma per la gran mortalità, che degli uni, e degli altri era seguita. resto d'indi in poi a quel monte in nome di Mortarolo.
[...]
Polagra, ò Bellagra, hora Vione, ultimo Castello, à cui tutto il resto della Valle fino alla cima stava soggetta, era tenuto da un tal Astorio, che parteggiano del Longobardo stava sù le difese, e pensava resistere; ma quando si vidde circondato dall'esercito del Rè Carlo, fuggì di notte tempo con suoi aderenti [...] Re Carlo spedì un nervo delle sue milizie in traccia dei fuggitivi che finalmente ritrovarono ben fortificati in un alta Torre verso le Vette di Bles, dove s'havevano formato come catacumbe, per nasconderli dalla spada fulminante del gran Zelator della Fede; Mà colti all'improvviso, volendo resistere, i più animosi furono trucidati dal ferro, e gli altri rimasti prigioni servirono al vittorioso Monarca d'ultime spoglie d'empietà, che consacrò alla fede in quella Valle.
[...]
Fatto questo in Val Camonica passò il monte Tonale, portandosi nelle Valli del Sole, e Rendena Trentine, per disgombrare anco da quei Siti diverse partite infedeli partegiane de Lombardi, ch'havevano havuto il Dominio della Città, e Territorio di Trento fino a Mezzo Lombardo, ch'era il confine; e gionto à Plizzano, Terra Conspicua della Valle del Sole, fu assalito da grand numero de nemici; contro quali voltate le arme fedeli, li sconfisse, e ne fece sanguinoso macello.
[...]
Quindi incamminandosi verso Dimaro, e per la Valle detta Valliana presa la strada alla volta di Campeio, e Monte Molchera, pervenne nella Valle Rendena, che si divide nelle due Giudicarie, superiore et inferiore, così chiamato dalle due Giudicature, ch'anticamente sono state in quel Distretto, la dove drizzando l'esercito verso il Castello Pelluco, per abbattere il Capo di quell'empia Lega, ch'ivi risiedeva, questo disperando poter resistere, si diede furtivamente alla fuga, passando nelle parti oltramarine [...] credo, che costui fosse come Generale dell'arme ausiliarie del Greco Imperatore in quelle parti Trentine à favore dei distronati Rè de Longobardi.»

 

Tor dei Pagà (Vione, Brescia). Disegno ricostruttivo del settore dell’insediamento denominato "torre G".
[immagine tratta da Archeo #373 (Marzo 2016)]

 

Tor dei Pagà (Vione, Brescia). I resti della "torre G", ripresi da diverse angolazioni, con cinta e piccoli edifici.
[immagine tratta da Archeo #373 (Marzo 2016)]

 

Tor dei Pagà (Vione, Brescia). Tratto del muro di cinta della fortificazione.
[immagine tratta da Archeo #373 (Marzo 2016)]