Monetazione longobarda
si quis sine iussionem regis aurum
figuraverit aut monetam confixerit, manus ei incidatur
Editto di Rotari (643) cap. 242
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Per comprendere le vicende della monetazione
longobarda in Italia è necessario meditare su alcuni presupposti
fondamentali:
a) la difficoltà ad accettare il concetto di moneta,
così come si era andato formando in ambiente mediterraneo, da parte
di popoli barbari, ancora legati all'acquisizione di beni col mezzo
della violenza o, nella migliore delle ipotesi, del baratto;
b) le caratteristiche dell'arte barbarica, segnata da
linearismo, horror vacui e
zoomorfismo per quel che riguarda la figura, con notevoli riserve, di
ordine non solo tecnico ma anche magico-religioso nella riproduzione
della figura umana;
c) la tendenza ad interpretare le monete delle
culture con cui venivano in contatto esclusivamente quali elementi
preziosi e decorativi; tale tendenza portava spesso all'inserimento
della moneta in monili e oggetti di pregio, snaturandone la funzione.
Il vizio di utilizzare la moneta come gioiello, non ancora del tutto
estinto, porta spesso ancor oggi a modifiche spesso irreparabili e a
tentativi di nascondere il danno per ridare ad essa il valore perduto,
comunque al suo deprezzamento: possiamo quindi definire tale
abitudine, col sostegno della Storia, come barbara!
d) la necessità, per coloro che occupano un
territorio abituato ad un tipo di moneta, di adeguarsi ad essa, data
la difficoltà delle popolazioni sottomesse ad attribuire valore ad
emissioni straniere e ad accettare monete nuove. Come esempio recente
si può citare la sfortuna della monetazione coloniale di Umberto I in
Eritrea, il tentativo di dar corso a un Tallero umbertino che
ispirasse fiducia in un ambiente abituato al Tallero di Maria Teresa,
e la successiva acquisizione dei conii di quest'ultimo, richiesta
dall'Italia alla fine della prima guerra mondiale ed accordata solo
nel 1935;
e) l'assenza, presso i Longobardi, di una solida
concezione del potere regio, e la prevalenza all'autonomismo da parte
dei Duchi, derivante dall' originaria impostazione tribale: come si è
notato nel capitolo dedicato alla sua storia, il regno longobardo in
Italia fu caratterizzato dal tentativo di eliminare tale tendenza
nell'intento, fallito anche per altre cause, di creare un regno
unitario e un effettivo potere centrale.
Le prime monete longobarde, precedenti all'invasione
della Penisola, vanno quindi usate per lo più come produzioni
private, prive di un valore nominale e interpretate come oreficeria.
Lo stesso procedimento che portava all'inclusione di monete straniere
in monili permetteva, evidentemente, di creare oggetti pregiati in
forma di moneta e anche di usare gli stessi conii per decorare oggetti
diversi. Ne è esempio la cosiddetta Croce di Novara, che reca
impressi entrambi i conii di un tremisse di Giustino II. E'
presumibile tuttavia che tale particolare forma di oreficeria
assumesse una valenza semiufficiale: non dimentichiamo che, fin dai
primi anni del VI sec., i Longobardi furono federati dell'Impero
d'Oriente e che molti tra essi furono impiegati anche nelle spedizioni
conto i Goti in Italia, quindi riconoscevano l'Autorità Imperiale
anche dal punto di vista monetario. Possiamo anche supporre che i
combattenti al soldo dell'Impero d'Oriente venissero retribuiti non
solo con i frutti del saccheggio ma anche con i salari dell' esercito
bizantino, che, a quel tempo, erano di circa 9 solidi all'anno (27
tremissi) per i cavalieri e di 5 solidi (15 tremissi) per i fanti.
Giunti in Italia, dopo un primo periodo di
occupazione durante il quale il concetto di conquista tipico dei
Barbari e' legato al nomadismo e non poteva contemplare altro che la
schiavitù dei vinti ed il saccheggio, i Longobardi continuarono a
considerare la monetazione come oreficeria, magari ispirandosi, nelle
loro creazioni, ai modelli esistenti e reperibili, cioè le monete
bizantine. Ma il contatto con le preesistenti culture, con le esigenze
del commercio e il nascente desiderio di fare dell'Italia la propria
sede definitiva, trasformandosi in un Regno stanziale, unitario e
centralizzato, portarono prima alla necessità di disporre di una
moneta di scambio e poi di regolamentarne l'emissione.
La condizione di occupazione e i continui tentativi
di estendere i domini longobardi a danno dei Bizantini devono aver
certamente prodotto una rarefazione della circolazione monetaria, come
sempre avviene in guerra, e in particolare per la moneta aurea. Di
fronte a tale fenomeno e alle necessità del nuovo Stato, in assenza
di una specifica normativa, gli orefici longobardi si sentirono
probabilmente autorizzati a battere moneta. Ma la diffidenza nei
confronti di monete nuove, cui si è accennato al punto d) dei
precedenti presupposti fondamentali imponeva evidentemente uno stretto
riferimento a modelli accettabili. Contrariamente a quanto si sostiene
nel "Arslan E. A., 1978",
la produzione, anche in mancanza di un potere centrale, non poteva
essere "diversificata e irregolare", perche' ciò avrebbe
portato ad un rifiuto di simili emissioni, per le quali invece
l'accettazione nelle aree occupate iniziava a divenire, come abbiamo
visto, una necessità impellente. Venne quindi imitato il tremisse di
Giustiniano I, di Giustino II e di Maurizio Tiberio, illustrate
nell'ordine nella figura sottostante.
Nessun problema, contrariamente a quanto si dice nel "Arslan
E. A., 1978", nel conio di monete a nome
di Giustiniano I, morto nel 565: tutti conoscono i tempi di
sopravvivenza della circolazione monetaria rispetto all'autorità
emittente, e non è quindi affatto strano, ma al contrario conferma
della nostra ipotesi di accettabilità, il fatto che venissero battute
dai Longobardi monete simili a quelle più diffuse. Cio' considerando
anche la lentezza con cui le monete dei nuovi Imperatori potevano
sostituirsi a quelle precedenti, specie in un territorio occupato e in
condizioni di belligeranza. Non a caso si inizia a battere moneta
recante il nome di un sovrano contemporaneo (Maurizio Tiberio) solo nel
periodo del regno di Autari, che coincide con un rafforzamento del
potere regio rispetto all'autonomismo dei Duchi e con cui inizia il
tentativo di unità politica e territoriale del Regno.
Da quanto detto finora la monetazione longobarda su
modello bizantino potrebbe apparire come falsificazione: con ogni
probabilità non fu così, almeno per il periodo in cui essa cessò di
essere frutto della libera iniziativa locale (se non individuale) e
divenne prerogativa del Re. I rapporti tra Bizantini e Longobardi,
nonostante la posizione di invasori di territori appartenenti
all'Impero d'Oriente, e quindi di avversari, non furono sempre di
belligeranza, ma a questi si alternarono momenti di coesistenza e
tentativi di pacificazione; essi possono essere compresi solo se si
valuta accuratamente la concezione ampia dell'autonomia locale e
dell'istituzione municipale che l'Impero d'Oriente aveva mutuato da
Roma e che risaliva alle origini repubblicane dell'Impero di Augusto.
Una conferma di tale impostazione è reperibile anche
nei rapporti, solo apparentemente ambigui, tra la Repubblica veneta e
Impero d'Oriente. E' ipotizzabile una approvazione "de
facto", per lo meno a partire da un certa data, al conio di
monete imperiali da parte dei Longobardi, in quanto ciò costituiva
un'esigenza di sopravvivenza per i sudditi già altrimenti danneggiati
dall'occupazione longobarda. Riaffermava al tempo stesso la sovranità
dell'Imperatore su quei territori. Si tratterebbe quindi di
"falsi legali" (Lopez R.S., 1961)anche nel senso che
l'emittente non corrispondeva all'effigiato; che la legittimità era
mutuata da sovrani che non erano più tali.
Nelle monete a nome di Maurizio Tiberio troviamo
delle legende incomprensibili: ciò può derivare da tentativi di
traslitterazione (ma tale volontà sarebbe incompatibile con il
criterio dell'accettabilità, che evidentemente ispirava i battitori),
da analfabetismo degli incisori, o dalla scarsa importanza che essi
davano alla legenda, stante l'analfabetismo dei destinatari; ma è
cosa diversa la volontà di modificare la legenda dalla presa d'atto
della sua irrilevanza quanto a significato. Un'altra ipotesi potrebbe
essere costituita dalla volontà dell'emittente di limitare la
sovranità bizantina, escludendo il nome dell'Imperatore e riducendolo
a mera effigie: sappiamo bene quale sia il vero significato della
sovranità che viene esercitata attraverso l'impiego della moneta, e,
come abbiamo visto sopra, era stato forse questo uno dei motivi per
cui Bisanzio aveva tollerato e forse agevolato le coniazioni
longobarde, che pertanto non possono essere definite dei falsi. Il
problema è aperto: senza pretendere di dare soluzioni univoche,
propendiamo per l'ultima.
La circolazione, tuttavia, non puo' essere
considerata secondo i termini che essa aveva in area bizantina: le
monete coniate furono poche, poiche' prevaleva il baratto e venivano
preferite probabilmente le originali monete bizantine. Tra le prime
zecche longobarde ci fu forse quella di Lucca, che coniava il soldo
aureo, ma con un peso di nemmeno 4 grammi. La lega era tuttavia ancora
affidabile e il titolo si abbassera' solo in seguito, come vedremo. La
capacita' di acquisto di un soldo era piuttosto elevata. Sappiamo che
nel 750 due cavalli furono pagati 50 soldi, un oliveto 8 soldi nel
718, un orto 9 soldi nel 726 e una porzione di fabbricato 9 soldi nel
729. E' evidente come tali valori siano modestamente significativi e
diano solo un'idea, con grande approssimazione, del valore di un
soldo; bisognerebbe avere almeno qualche altra informazione, relativa
all'estensione di quell'uliveto, di quell'orto e di quella porzione di
fabbricato, al tipo di cavalli: da tiro, da guerra, da macello. E'
molto facile cadere in errore sull'effettivo valore del denaro e dei
beni che con esso si acquistavano quando mancano simili dati, e il
risultato e' senz'altro "d'effetto", ma scarsamente probante
dal punto di vista scientifico.
Un altro problema è posto dalla moneta,
iconograficamente simile a quelle di Maurizio Tiberio, che reca in
legenda il nome MARINUS MON. Si può prendere in considerazione
l'ipotesi di un Marinus Monetarius, suggerita da alcuni, che avrebbe
costituito il momento di passaggio dalla legenda imperiale a quella
longobarda, durante la fase di rinnovamento monetario che si attuò
con Cuniperto. L'unico dubbio su tale ipotesi è costituito, a nostro
avviso, dalla contiguità grafica di MAVRITIVS e MARINVS, specie se
consideriamo le altre pseudo-legende già citate.
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MARINVS MON - TREMISSE |
Un mutamento sostanziale si attua nella monetazione
aurea bizantina a partire da Cuniperto,
figlio di Bertarido, associato al padre dal 678 e Re dal 688 al 700.
Prima inserisce il proprio nome con l'attributo di REX al dritto e al
rovescio, e mantiene la Nike alata dei tremissi precedenti, poi essa
si trasforma nell'immagine di San Michele con il busto ed il nome del
Re solo al dritto: è il segno definitivo dell'autorità regia dei
Longobardi e della possibilità di imporre ormai la accettazione delle
loro emissioni - punto d) delle premesse fondamentali - garantita
anche dal titolo e dal peso di queste monete completamente nuove.
San Michele era oggetto di particolare culto da parte
dei Longobardi, ma nelle intenzioni di Cuniperto assume forse anche un
significato relativo alla politica interna. Nella lotta, anche
religiosa, che contrapponeva i Longobardi ariani, autonomisti e
sostenitori di un governo forte nei confronti dei vinti, alla fazione
dei Longobardi cattolici, centralizzatrice e tendente
all'unificazione, la scelta di San Michele, venerato da entrambe le
fazioni, può aver avuto un intento di unificazione e pacificazione,
perfettamente compatibili con la politica di Cuniperto e del padre
Ariperto.
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Cuniperto: tremisse con S.
Michele |
La novità quindi non va identificata tanto nel fatto
iconografico, quanto nel dato storico. Con Bertarido e Cuniperto
inizia a consolidarsi la politica centralizzatrice di cui Rotari aveva
posto le basi, col suo Editto, anche dal punto di vista della
monetazione (Gualazzini U., 1961). E tale tendenza evidentemente influì
sui rapporti economici, sulla circolazione monetaria e sui commerci.
Per quanto riguarda il capitolo 242 dell'Editto di
Rotari, che abbiamo citato in apertura, proponiamo - per inciso - di
tradurre con "effigiare" il verbo latino "figuro"
("figuraverit") e, consci di gettare un sasso nello stagno,
di compiere una provocazionee di proporre una forzatura, ipotizziamo,
in alternativa, la relazione del genitivo "regis" con "aurum"
anziche' con "iussionem". Non
va dimenticato inoltre che Bertarido aveva stipulato un trattato di
pace con Bisanzio, e ciò può aver influito sul definitivo
chiarimento della questione iconografica nella monetazione.
Dopo Cuniperto la moneta longobarda tende a decadere
dal punto di vista stilistico e formale: le immagini appaiono sempre
più stilizzate, il titolo dell'oro si abbassa (e forse ciò dipende
anche dalla minore disponibilità del metallo che giungeva dalle coste
dell'Africa settentrionale, progressivamente assoggettate
all'espansione araba). La moneta si assottiglia e aumentano quindi le
dimensioni del tondello. Durante il regno di Liutprando (712-744)
vengono coniati tremissi da zecche cosiddette autonome, ed essi
presentano tipologie diverse rispetto alla tradizione, del tipo detto
stellato, dal simbolo simile alla "Rosa
delle Alpi" della Lega Nord, o col
monogramma della città sede di Zecca, recanti la croce al rovescio. Le
zecche conosciute sono Pavia (Luzzatto G., 1914), Firenze, Milano,
Ivrea, Treviso, Plumbiate, Novate, Lucca, Pisa, .
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Tremisse di Lucca |
Tremisse di Pombia |
Tremisse di Pavia |
Anche il titolo e il peso subiscono variazioni (al
ribasso).
La semplificazione diviene estrema con le monete di
Rachis, in cui al busto viene sostituito il monogramma, forse anche
per influenze franche. Di fronte a tale scadimento sembrano far
eccezione le monete che Astolfo (749-756) fece battere per Ravenna,
dopo averla conquistata e ben presto perduta; ma qui possiamo supporre
che agli incisori e ai coni bizantini della sede esarcale, più che al
desiderio di accettabilità da parte dei Ravennati, vada il merito
della qualità stilistica e monetaria di quelle monete.
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monetazione per Ravenna |
Le monete di Desiderio (756-774) assumono
diverse tipologie a seconda della zecca: monogramma al dritto e San
Michele, molto stilizzato, al rovescio nelle zecche del Nord, il nome
e la stella nelle zecche toscane.
La sconfitta e la distruzione del Regno longobardo
portano una nuova moneta, il tremisse stellato, tipologicamente del
tutto longobardo, col nome di Carlo, che e' ormai Re dei Franchi e dei
Longobardi.
Un discorso a parte, che qui è possibile solo
accennare, va fatto per le monete ducali di Benevento, che non cessano
mai, quasi in segno di spregio per i tentativi di unificazione del
potere regio centrale, di ispirarsi ai modelli bizantini. Tale
monetazione prosegue quindi anche dopo la conquista franca di Carlo,
che intende mantenere un diverso atteggiamento nei confronti di quel
Ducato che può dimostrarsi un valido alleato; ancora per un secolo
Benevento manterrà la moneta aurea, ma poi verrà fagocitata, con gli
ultimi ricordi del popolo longobardo, nella cultura occidentale e
adotterà la monetazione argentea.
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Godescalco 739-742 |
Gisulfo II 742-751 |
Grimoaldo III 792-806 |
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Aurei Longobardi
La mostra è ospitata al piano superiore
del Museo Archeologico
Nazionale di Cividale del Friuli.
La Collezione
La collezione, pazientemente raccolta dal
veronese Alberto Bazzan, è stata acquistata dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Udine e Pordenone nel quadro del progetto di recupero e di
valorizzazione del patrimonio artistico, storico e culturale del Friuli;
è stata successivamente affidata in comodato alla Soprintendenza per i
Beni A.A.A.A.S. del Friuli Venezia Giulia per essere esposta
permanentemente nel Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli.
Esso consta di 34 monete d'oro longobarde, talune rarissime e persino non
note alla bibliografia ufficiale ed è considerata, sia per numero che per
importanza, la terza collezione al mondo di questo genere. La monetazione
dell'oro longobarda I Longobardi giunsero in Italia conoscendo la moneta,
ma privi dei presupposti per una reale cultura monetaria. La moneta,
preferibilmente il tremisse (un terzo del solido aureo), sia l'originale
bizantina che quella di imitazione, non è mezzo per transazioni
economiche ma simbolo di status, gioiello, amuleto. Come tale si carica,
nelle imitazioni, di valenze simboliche, spesso stravolgendo le leggende e
modificando i tipi (nella collezione ci sono 11 esemplari). Nello spazio
longobardo circolano, in questa prima fase, sembra nel più completo
disinteresse delle autorità occupanti, tremissi a nome di Giustiniano I e
di Giustino II prodotti, più che dai Longobardi, per i Longobardi (vedi
moneta n° 1). Solo con Agilulfo il re assume l'iniziativa ed il controllo
della coniazione della moneta, accettando sul dritto il busto
dell'imperatore Maurizio Tiberio (582-602) ed al rovescio la Vittoria con
globo crucigero (vedi moneta n° 2). Poco più tardi, anche in Italia
meridionale (Benevento?) iniziano coniazioni simili, a nome, però, di
Eraclio (610-641) con sul rovescio la croce (vedi moneta n°3). Per buona
parte del VII secolo, a Nord ed a Sud, vengono battuti tremissi a nome
degli imperatori che si succedono a Bisanzio. Nella seconda metà del
secolo si registra però un sempre più netto rifiuto del nome
dell'imperatore sulla moneta, che si evolve, lentamente, verso una
formulazione "nazionale". Inizialmente nel Nord si riprendono,
in monete a tondello largo ed a peso calante, leggenda e tipo dei tremissi
a nome di Maurizio Tiberio, mentre nel Sud si hanno tipi globulari con
leggenda completamente stravolta, sia al dritto che al rovescio. Nel Nord,
con Perctarit, si ha poi il primo tentativo di porre il monogramma reale
sulla moneta d'argento, ed il monetiere Marinus pone il proprio nome sulle
monete auree (vedi moneta n° 12).
Tremisse n° 12
Tremisse n°12: a nome dei Duchi (?)
con il monetiere Marinus Il processo si conclude con la fine del VII
secolo: Cunincpert conia tremissi del tipo con la Vittoria, con il
proprio nome, come "Rex", sia al dritto che al rovescio.
Successivamente attua una coraggiosa riforma monetaria. Viene
proposta una moneta completamente nuova, di peso pieno e di oro
puro, con il ritratto ed il nome del re al dritto, ed il tipo
"nazionale" del S. Michele in abito militare al rovescio
in precisa contrapposizione ai contemporanei tipi bizantini (vedi
monete n° 14 e n° 15 ). |
Tremisse n° 14
Tremisse n° 14: CunincpertQuesta
tipologia continua ancora, nel Nord nella prima metà dell 'VIII
secolo, ma con prodotti che diventano, però, sempre più
trasandati, con peso e lega in continuo peggioramento. Sui tremissi
di Liutprando compaiono lettere indicative delle zecche (nella
collezione vi appaiono 8 esemplari -vedi monete dal n° 20 a n°
27). |
Tremisse n° 20
Tremisse n° 20: LiutprandoSituazione,
questa, nella quale va letta, forse Tremisse n° 20: Liutprando
l'attivazione di una serie di zecche nella Tuscia che battono
tremissi autonomi, con la croce a rovescio (vedi monete n° 5, n° 6
e n° 7) e con nuovi tipi di dritto con il monogramma della città
oppure con una stella in circolo e leggenda, anch'essa circolare,
con il nome della città, indicata come flavia. Si tratta del tipo
detto "stellato" (vedi moneta n° 32), |
Tremisse n° 32
Tremisse n° 32: Desiderioadottato
infine da Desiderio per l'intero regno, con l'indicazione di Milano,
Pavia, Castelseprio, Ivrea, Treviso, Vicenza, Pombia, Novate,
Piacenza, Vercelli, Lucca e Pisa. Si tratta, sempre, di tremissi
prodotti con tecnica e Tremisse n ° 32: Desiderio stile sempre più
trascurati e con un progressivo calo nel peso e nella lega. A questo
periodo di evidente crisi economica, vanno probabilmente ascritti
anche i tre tremissi a basso titolo d'oro, contraffazioni di zecca,
facenti parte della collezione qui esposta (monete n° 28, n° 29 e
n° 30) sconosciute alla letteratura specializzata. E' comprensibile
quindi come Carlo Magno, dopo la conquista del regno ( 774),
continuasse la coniazione di "stellati" aurei, che cessano
di essere coniati nel 781 con l'introduzione di una moneta unica
d'argento. Nella collezione qui esposta figurano anche un tremisse
(vedi moneta n° 33) |
Tremisse n° 33
Tremisse n° 33: Grimoaldo III e
Carlo Magnoed un solido del Ducato di Benevento (vedi moneta n°
34), |
Solido n° 34
Solido n° 34: Grimoaldo
IIIterritorio che gravitava nella sfera d'influenza della
monetazione bizantina. Il tremisse è a nome di Grimoaldo III con
Carlo Magno (788-792) ed il solido è a nome del solo Grimoaldo III
(788-806) che, liberatosi della tutela di Carlo Magno, nel 792, si
propone come principe. La monetazione del Ducato di Benevento fa
storia a Tremisse n° 33: Grimoaldo III e Carlo Magno Solido n °
34:Grimoaldo III se, perche denuncia la collocazione intermedia del
principato tra mondo carolingio e bizantino, tra l'area di
circolazione dell'oro e quella dell'argento. |
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